Pubblicato il 16 Febbraio 2018 | da Valerio Caprara
6La forma dell’acqua – The Shape of Water
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“Il mostro della laguna nera” non sembrerebbe il modello di un film da festival o da Oscar, ma è proprio da quel B-movie anni Cinquanta che Del Toro ha preso lo slancio per dirigere “La forma dell’acqua”, Leone d’oro dello scorso anno e Venezia e candidato a tredici statuette il prossimo 4 marzo. Se fantasy creativo estratto da un leitmotiv classico doveva essere, infatti, il regista messicano di horror ricercati trapiantato a Hollywood impartisce una lezione d’alta classe su come alla fine di una tempestosa storia d’amore la Bella possa non avere più bisogno che la Bestia si trasformi in un principe umanamente corretto. Prima identikit di una solitudine al femminile, poi avventura mozzafiato all’ombra della Guerra Fredda, infine grido di libertà in nome dei “diversi” alquanto svincolato, però, dalla consueta retorica buonista: seppure la metafora centrale proponga un vero e proprio manifesto a favore delle minoranze oppresse, “La forma dell’acqua” riesce a fare di un uomo-branchia, un mostro perseguitato, una creatura anfibia ripugnante il credibile protagonista di un puzzle visionario, una dichiarazione d’amore al cinema di genere, uno show euforizzante librato nei vortici di un musical fiabesco.
Per mitigare il possibile retrogusto melenso il sentimento che a poco a poco avvince la dimessa e muta Elisa (perfetta l’incarnazione della Hawkins) all’essere misterioso, catturato all’inizio dei Sessanta in Amazzonia e tenuto prigioniero dai militari yankee al servizio di un torvo colonnello (l’impressionante Shannon) in un laboratorio segreto dove lei lavora come donna delle pulizie, è via via contrappuntato da sapienti sprazzi, anche abbinati, di humour ed erotismo; mentre il crescendo della suspense non tralascia la cura maniacale dell’ambientazione, la fotografia e le musiche d’epoca, per non parlare della pertinenza delle automobili, i cartelloni pubblicitari in stile Norman Rockwell e la sala Orpheum dislocata sotto l’appartamento della protagonista dove si proiettano a volontà goduriosi peplum e horror. Il taglio registico è talmente diretto e sincero da non fare perdere al film il suo impeto neppure quando ciascuno dei coprotagonisti -la collega nera vessata dal marito, lo scienziato che fa il doppio gioco in nome e per conto dei non meno malvagi sovietici, il giovane gay disegnatore fallito- accentua la propria funzione di puntello drammaturgico in vista dell’accavallarsi di fughe e colpi di scena nel prolungato, convulso, folle finale. Non si sa se sia opportuno o meno accontentarsi dell’epigrafe “I mostri siamo noi, non loro”, perché il film mette in campo una serie ricchissima d’invenzioni e diramazioni che rischiano di renderla banale o inappagante. Quello che sappiamo bene, però, è che Del Toro sa fare il cinema, eccome se lo sa fare.
LA FORMA DELL’ACQUA
Regia: Guillermo Del Toro
Con: Sally Hawkins, Michael Shannon, Michael Stuhlberg, Doug Jones
Genere: fantasy. Usa 2017