Pubblicato il 11 Gennaio 2018 | da Valerio Caprara
0Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Sommario:
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Il film ideale non esiste perché davanti a uno schermo siamo tutti diversi. Invece la sceneggiatura ideale forse sì e in tal caso assomiglierebbe certo a quella di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Tralasciando la messe di premi importanti che ha ottenuto e continuerà a ottenere, questo torbido thriller venato di humour nero che sarebbe meglio vedere nella versione originale sottotitolata riesce, infatti, a scolpire l’indimenticabile ritratto di una donna che sopravvive, pensa e lotta in una landa selvaggia come un moderno cowboy rendendola il fulcro narrativo di un gruppo di personaggi altrettanto spiazzanti e perturbanti. Il controllo stilistico, l’intelligenza psicologica e la libertà morale con cui il quarantasettenne commediografo, sceneggiatore e regista inglese di origini irlandesi Martin McDonagh mette in scena la sua ballata di dolori, odi e vendette nello spazio tanto realistico quanto metaforico di una sperduta cittadina dell’America profonda hanno, di fatto, pochi riscontri nel cinema (non solo) americano d’oggi tanto che i capidopera di Lynch, Tarantino e Coen potranno d’ora in poi sembrare al massimo affini piuttosto che modelli originali ricalcati. Anche perché –come succede ormai di rado sia nei prodotti d’autore, sia in quelli d’evasione- la propulsione drammaturgica è garantita dal continuo mescolarsi delle situazioni estreme con il mordente di caratteri in grado di evolversi, specchiarsi e persino ribaltarsi senza l’ossessione di doverne spremere significati, soluzioni, messaggi uniformi o peggio edificanti.
Esacerbata dall’atroce assassinio della figlia, umiliata e offesa dall’ex marito e convinta dell’inefficienza della polizia locale, l’indomita Mildred infagottata in una tuta blu e con in testa una bandana è disposta –proprio come i pistoleri western marchiati a vita da una colpa- ad usare le maniere forti contro chiunque si opponga al suo desiderio di giustizia. Per lei pari sono, per esempio, il tollerante sceriffo Willoughby (Harrelson) malato terminale e lo sbirro razzista plagiato dalla madre megera Dixon (Rockwell): nessuno come la McDormand avrebbe potuto incarnare con sfumature più svarianti questa nemica di tutti e innanzitutto di se stessa, capace di rendere l’atmosfera epica anche solo con una frase simile a una coltellata o un guizzo incoercibile del volto pietrificato dalla disperazione e dalla rabbia. Ogni colpo di scena, ogni gesto inconsulto, così, sembrano mirati a illudere lo spettatore prospettandogli quantomeno una catarsi; ma ogni volta il film riprende a picchiare duro all’ombra dei tre cartelloni su cui sono vergate come col sangue le richieste di Mildred, le uniche che hanno avuto il fegato di prendere di petto i segreti di una sorta di Twin Peaks traboccante di ostilità primigenie. In questo film formidabile nemmeno il finale cede d’un passo risparmiandoci la solita illusione di potere indicare la via giusta per l’umana redenzione.
TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI
Regia: Martin McDonagh
Con: Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, John Hawkes, Abbie Cornish
Genere: commedia noir. Gran Bretagna/Usa 2017