Pubblicato il 24 Marzo 2017 | da Valerio Caprara
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Sommario: Michéle, benestante e dominante manager parigina, subisce un umiliante trauma. Ma la sua personalità è molto più complessa di quanto appare e i colleghi, i familiari e gli amici che frequenta si rivelano altrettanto ambigui e insondabili...
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Oscurità e potenza dei “basic instinct”. Non stiamo parlando, però, del thriller di culto anche se il regista non a caso è lo stesso: “Elle”, infatti, rimette in pista l’olandese Paul Verhoeven che dopo il sottovalutato “Black Book” (2006) sembrava avviato a distaccarsi dal mestiere esercitato ai massimi livelli al di qua e al di là dell’Oceano. Per la prima volta attivo in Francia, grazie al produttore d’assalto Said Ben Said (“Carnage”, “Passion”, “Maps to the Stars”) che ha affidato a lui e allo sceneggiatore americano David Birke la trasposizione del romanzo di Philippe Djian “Oh…”, l’irrequieto settantottenne coglie con straordinaria acutezza l’ambiguità, la violenza e il grottesco allignati nei gangli dell’élite parigina borghese e li spande sull’intera superficie di un film scabroso, ossessivo, eversivo e amorale che va a posizionarsi in una costellazione d’hitchcockiani tardivi come Chabrol, De Palma, Haneke.
Acclarato che non è soltanto difficile ma anche inutile assimilare “Elle” a un genere definito, potremmo pensare a una storia di fantasmi in riferimento, però, a quelli suscitati nell’anima e la carne della protagonista dal brutale prologo e poi dilaganti in una reazione a catena di passioni e vergogne che riguardano anche l’interazione con i personaggi collaterali, tutti via via indotti a rivelare un’incrinatura morale, un identikit occultato o una motivazione abietta. Pedinata, così, dallo sguardo lucido e impietoso del regista, Michéle, boss di un’azienda di videogames per adulti, figlia di un serial killer e divorziata da un coniuge imbelle, da una parte sembra impegnata a sdrammatizzare il trauma subìto continuando a gestire la confortevole vita sociale con il gelido aplomb di sempre; dall’altra non può e non vuole liberarsene trasferendolo nelle relazioni con i colleghi, gli amici e i parenti e ricorrendo a una gamma di espressioni, gesti, comportamenti che solo un’attrice “totale”, cioè in grado di entrare nel personaggio senza essere condizionata dall’età, le inibizioni, il bon ton e il buon gusto come la Huppert poteva portare a un livello d’intensità altrettanto aspra.
Appare in questo senso cruciale la forza con cui il climax drammaturgico demolisce qualsiasi sospetto di compiacenza nei confronti dei luoghi comuni misogini e, al contrario, tiene a valorizzare l’”inaudita” libertà che può permettersi una donna di potere di non fingersi diversa da quello che è, nonché di garantirsi il controllo della propria vita con i mezzi ritenuti cinicamente più comodi e redditizi. Accostando i destini di due alieni sessualmente compatibili, script e film mettono sullo stesso piano trasgressivo uomini e donne e portano avanti la negazione dell’esistenza di un’unica forma di sessualità per gli uni e le altre insieme alla convinzione che non sia, dunque, il genere a determinare natura e regole dei desideri e soprattutto di quelli inconfessabili e repulsivi.
ELLE
Regia: Paul Verhoeven
Con: Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny
Drammatico. Francia/Germania 2016