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Pubblicato il 22 Gennaio 2017 | da Giuseppe Cozzolino

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Intervista a Barry Morrow

DA “RAIN MAN” A “THE YEAR OF THE IRON HORSE”

Intervista al Regista e Sceneggiatore Barry Morrow
A cura di Giuseppe Cozzolino (Traduzione di Matilde Cozzolino)

La presenza in Italia di Barry Morrow, celebre sceneggiatore di “Rain Man”, di recente passato dietro alla macchina da presa con la commedia “Smitten” (2016), ci regala un’occasione veramente ghiotta per discutere di cinema e produzione in un ottica internazionale. Lo abbiamo incontrato nella sontuosa cornice dell’ultima edizione di “Capri Hollywood”, svoltosi dal 26 Dicembre 2016 al 2 Gennaio 2017,

Cosa ci dice della sua esperienza da regista?

Il film che ho girato –  “Smitten” – è nato da un mio viaggio in italia 15 anni fa con un mio amico produttore che ha vissuto per tanti anni in italia. Lessi un articolo su una ricca donna di  Bolzano che era morta e aveva lasciato molti soldi a una chiesa locale ma anche per il mantenimento di un piccolo cottage, dove aveva conosciuto l’amore per la prima volta. Il suo amante era però partito per la Prima Guerra Mondiale, e non era più tornato. Ho fatto delle ricerche per sapere in quale villaggio fosse questo cottage e così è nata l’idea per un film su questa storia. Così è successo che, 15 anni dopo questo episodio un uomo d’affari mio amico mi chiedesse: ma tu cosa vorresti veramente fare? E io: una storia romantica ambientata in questo piccolo villaggio italiano.

Così, con i finanziamenti procurati da lui e la sceneggiatura scritta da me, ho coronato il mio sogno di fare il regista. Quando ero giovane e ho cominciato a muovere i miei primi passi nel mondo della Tv e del Cinema mi sono cimentato nella regia di documentari e sono stato anche fotografo professionista per un periodo. Ho recitato anche come attore ai tempi del college in una compagnia di ragazzi che si chiamava “Honolulu Theater”. Ho fatto un pò di tutto, anche se alla fine non ho raggiunto livelli soddisfacenti e ho cambiato strada. Abbiamo lavorato 14-15 ore al giorno, 6 giorni alla settimana, in un piccolo villaggio di nome Falenam, nome di origine austriaca, solo 40 case nel villaggio, situato in una piccola vallata, nessun rumore, nessun servizio internet  e questo cottage era lì.

Noi con la troupe ci siamo sistemati in un resort a 20 minuti di distanza, ma le condizioni di lavoro non erano facili. Anche le condizioni meteo  spesso non erano favorevoli, pioveva spesso, freddo, vento, ma il problema principale era la luce, il sole sorgeva tardi e tramontava velocemente dato che il villaggio era in una vallata.

Abbiamo dovuto costruire due set a Roma: un interno del cottage e l’altro di un ristorante. Ma le difficoltà ci hanno fortificato e ed è stato bellissimo lavorare col mio cast italiano: solo due americani, una rumena  (Madalina Ghenea), una spagnola (Angela Molina), poi tutti italiani (fra cui Remo Girone). Era bello prendere il caffè insieme, mangiare. Quando abbiamo finito le riprese e ci siamo salutati e tutti piangevano, e si abbracciavano. Quando sono tornato negli USA, ho scritto un email a tutti. Certo non dovrei dirlo io, ma tutti loro mi hanno detto che sono stato il miglior regista con cui hanno mai lavorato. Si sa, spesso gli attori hanno timore dei registi perche sono nevrotici, io invece li mettevo a loro agio. Il film che ho fatto è sull’amore, quindi non potevo che trasmettere serenità e positività a tutti. E quando sono tornato a Los Angeles per occuparmi della post produzione, quando provavo nostalgia, guardavo alcune tra le scene più significative del film e rivedevo tutti loro.

Vuole parlarci del suo prossimo progetto con la produttrice cinese Lisa Yang?

“The Year Of The Iron Horse” si ambienta nel 1860, circa 160 anni fa, quando l’America era giovane e l’unica area sviluppata era nella East Coast a New York. Tutto il resto era deserto, gli indiani abitavano queste terre e c’erano città importanti come San Francisco nella West Coast, ma al centro non c’era nulla. Per accelerare lo sviluppo occorreva costruire una ferrovia, migliaia e migliaia di miglia di binari e stazioni che attraversassero territori impervi come montagne e fiumi e bisognava costruire tunnel e ponti. Occorrevano migliaia di operai e la dinamite, e molti uomini d’affari iniziarono ad utilizzare immigrati cinesi nella costa occidentale e irlandesi in quella orientale.

Io sono di origini irlandesi, Lisa è cinese, ed abbiamo pensato di realizzare insieme questo progetto. Ovviamente gli operai erano tutti molto giovani e non si piacevano l’un l’altro, non si capivano ed erano sospettosi, perché non conoscevano le reciproche culture. Ma, avendo bisogno l’uno dell’altro, impararono a collaborare e a rispettarsi e così nacque una bella storia tra questi due popoli. Restava però il problema con la dinamite all’epoca non si conosceva bene e, poiché non si riusciva a dosare bene le cariche, tantissimi operai restarono uccisi. Poi si moriva anche per il freddo invernale. I costi aumentavano perché le difficoltà erano innumerevoli. Ma proprio queste difficoltà facilitarono la comunicazione tra le due culture, quindi il messaggio sulla collaborazione tra popoli diversi è molto importante.

Gli americani non sanno che i cinesi hanno costruito le loro ferrovie e lo stesso i cinesi. Le relazioni diplomatiche fra i due Paesi vennero interrotte per più di 60 anni e solo nel 1972 vennero riallacciate. Dal 1949 al 1972 con Mao la situazione era diventata poi più difficile che mai, ma poi sono riprese poco alla volta con importanti scambi nel campo della medicina, turismo, economia. Oggi i cinesi vengono in USA perché amano il nostro concetto di libertà e gli americani vanno in Cina affascinati dalla cultura orientale.

la prima volta che sono andato in Cina, 19 anni fa ho visitato molte città: Pechino, Shanghai, Huangzhou, Xian, Chengdu. Ho apprezzato la cultura, ho assaggiato cose che non avevo mai provato prima, il serpente ad esempio, quando ho incontrato Lisa la prima volta, circa 5-6 anni fa.  Lisa mi confessò che avrebbe desiderato produrre un film. Cci eravamo incontrati grazie a un comune amico cinese, una sera a una cena, e lei mi invitò ad andare a Xian per vedere l’esercito di terracotta ma soprattutto per propormi un suo soggetto che però non mi piacque troppo. incontrai il produttore e gli espressi le mie titubanze: si trattava di una storia su Clinton che recandosi in visita a Xian per vedere il rinomato esercito di terracotta veniva coinvolto in un attacco terroristico. ma all’epoca Clinton non era già più presidente e mi sembrò un’idea un pò puerile. Lo dissi al produttore e lui e Lisa furono molto delusi però io suggerii subito un altro soggetto sulla costruzione della prima linea ferroviaria in America.

Uno dei primi grandi problemi da affrontare in una simile produzione sarebbe stato l’utilizzo di due lingue tanto diverse tra loro: il cinese mandarino e l’inglese. Sarebbe stato necessario utilizzare i sottotitoli durante tutto il film, ma io ebbi un’idea: creare il personaggio di un orfano cinese di 8 anni, capace di parlare ambo le lingue finendo per mediare in situazioni critiche di scarsa fiducia e rispetto come prendersi la libertà di chiedere scusa, invece che inveire con la controparte, cosi come gli era stato comunicato di fare. Questo progetto è quindi un modo per mostrare quanto sia possibile collaborare pur tra culture così diverse e si è costruito anche il fondamento per un buon successo di botteghino coinvolgendo ben tre culture prevalenti nel mondo attuale: americana, cinese ed europea.  Ora abbiamo un Website in cinese ed inglese e stiamo lavorando anche ad un altro soggetto che partirà tra un mese. Lisa si sta occupando della raccolta dei finanziamenti in Cina e in USA.

Sinergie produttive Cina-America. Quali Prospettive?

La Cina ha oggi grandi possibilità di produzione, tecnologie tra le più avanzate, stanno costruendo grandi Studios, hanno bravi sceneggiatori ma a lungo si sono concentrati su generi ricorrenti quali le arti marziali o kolossal storici, molto lontani da temi psicologici e sociali come “Rain Man”. Quindi la cinematografia europea e americana ha influenzato a partire dalla riapertura delle relazioni diplomatiche e sta influenzando notevolmente quella cinese. Anche quella cinese ha avuto molto successo da noi, basti pensare ai film di Hong Kong, ma non hanno ancora ricevuto nomination importanti per i loro film. Secondo me perché non hanno ancora dato il meglio di loro stessi, gli ci vorranno altri 10-15 anni per raggiungere il top.

Cosa ne pensa di Festival come Capri Hollywood?

Sicuramente questi Festival, a differenza di Toronto e Cannes, sono più a misura d’uomo, è più facile incontrare registi, attori, produttori e prendere un caffè insieme. Tutto facilitato da un atmosfera incantevole e familiare. Per esempio qui a Capri ho incontrato per la prima volta il regista Jim Sheridan, abbiamo conversato per un po’ e siamo diventati amici. Nei grandi festival questo è impossibile, tutto è programmato.

Anche la qualità dei film è elevatissima in questo festival (“Lalaland”) come la  presenza di grandi personaggi, come Bill Mechanic, produttore di “Titanic”. Ho conversato con lui per 3-4 ore, ha una mente molta aperta e le sue idee molto accattivanti, con grande saggezza, che ho pensato di usare in qualche mio film futuro quando farò ritorno a Los Angeles ci vedremo per un pranzo e si vedrà.

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