Pubblicato il 24 Ottobre 2016 | da Valerio Caprara
0The Young Pope: i primi episodi
Sommario:
3.5
Le avvisaglie erano ottime e abbondanti e quindi per i reduci della Mostra di Venezia non è stata una sorpresissima il record di audience raggiunto dalla messa in onda venerdì scorso delle prime due puntate della serie “The Young Pope”. E’ comunque un fatto ormai acclarato che il massiccio investimento di Sky e associati nelle serie televisive ha prodotto i suoi frutti e che sulla linea dei maxibudget affidati a professionisti dotati di maxipersonalità Paolo Sorrentino ci sta comodo come a casa sua. La magnifica ossessione del cinema come transfert permanente, del tutto indifferente alle diete d’arte e d’essai e ai menu differenziati tra sala e tv, infatti, anche se non soprattutto in questa sfida alle nostalgie del cinefilo mummificato può sbizzarrirsi in uno spettacolo sontuoso e ipnotico. Certo bisognerà aspettare che gli otto episodi rimanenti confermino le carte vincenti appena mostrate sul teleschermo, però è probabile che d’ora in poi persino gli antipatizzanti dovranno riconoscere che Crozza può (ri)fare qualsiasi cosa del regista napoletano, tranne fare provare allo spettatore una gamma di emozioni parimenti intensa, cruda, insinuante e nello stesso tempo derisoria e divertente.
Non a caso l’ascesa al trono pontificio del primo Papa yankee della storia -il protagonista Lenny Belardo che a noi ha fatto ricordare più l’irriverente cabarettista Lenny Bruce che i reverendi Pio XIII o Francesco- nel serial viene inaugurata come in trance onirica, con una figura maschile giovane e vigorosa che emerge come in una performance body-art da un groviglio di neonati apparentemente senza vita: ecco, così, la metafora di una forza umana primigenia pronta a misurarsi con la vertigine di una Santità tanto profonda da diventare insostenibile, ma soprattutto con il potere secolare di uno Stato come quello Vaticano che non possiede eserciti -come sprezzantemente ebbe a dire una volta l’arcinemico Stalin- ma muove e fortifica milioni e milioni di persone nel segno di una fede (forse) incrollabile. Grazie al suo stile raffinato il regista consente a quello straordinario attore che è Jude Lawdi scolpire un tuttotondo felicemente contraddittorio, ambiguo, spiazzante e agli altri personaggi-chiave di contribuire a blindare il leitmotiv dei dialoghi, i gesti, i pensieri espressi o reconditi che in una sorta di tragicomico e stordente tourbillon prima esaltano e subito dopo mettono in dubbio l’esistenza di Dio, l’incombere delle tentazioni carnali, la necessità di un comando assoluto e il diritto-dovere dell’obbedienza assoluta, l’ebbrezza conferita dal possesso dei beni materiali e la loro immediata abiura causata dall’urgenza dell’amore verso il prossimo. Per quanto concerne, poi, il ritmo in cui le inquadrature e le sequenze inseguono effetti di visionarietà e suspense del tutto personali, ci sembra credibile che la ridondanza e il compiacimento vi rientrino ormai a pieno titolo, come parte integrante, cioé, di un tessuto linguistico. Al posto della pretensione dei mediocri, insomma, Sorrentino usa suspense, sarcasmo e una partitura di stile sincopata secondo un principio di necessità, quasi per difendersi dalla tendenza a commentare lui stesso ciò che ha appena messo in scena: pressochè all’antitesi, insomma, del vizio capitale di un autore consacrato, in questo senso funzionerebbe alla grande una didascalia parafrasata da un celebre pamphlet di Lenin: il narcisismo come malattia infantile del sorentinismo.
Non è ininfluente aggiungere che accanto a questo Papa decisionista eppure indecifrabile (niente a che vedere con lo scolastico omologo freudiano inventato dall'”Habemus papam” di Moretti), subito individuato dalla critica come conservatore e reazionario, ma in realtà ideologicamente duro e puro come un congiurato dello Spirito Santo, giganteggia Silvio Orlando nella parte del colto e navigato cardinale partenopeo Voiello, potente, inafferrabile, astuto come il suo idolo calcistico Gonzalo Higuaìn; il cui ancora recente e purtroppo realistico tradimento, con tanto di passaggio in campo avverso, non inficia neanche un po’ la presa e la grinta di “The Young Pope” proprio perché specchio involontario della biblica traiettoria di Lucifero.