Pubblicato il 24 Ottobre 2016 | da Valerio Caprara
0Io, Daniel Blake
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Siccome l’aspetto emotivo occupa un posto fondamentale in qualsiasi tipo d’approccio cinematografico, è comprensibile che “Io, Daniel Blake” abbia suscitato e susciti sincere condivisioni “a pelle”. Però per chi stimi senza farne un paradigma fisso il valore autoriale di Ken Loach, è impossibile nascondere la delusione procurata da quest’ultimo titolo insignito di una discutibilissima Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes. Qualcuno opinerá che le tematiche e le motivazioni del cineasta britannico restano, in fondo, sempre le stesse: si tratterebbe, però, di un errore di superficialitá perchè all’interno di una carriera prestigiosa, che prende le mosse addirittura dagli anni 60 del Free Cinema, si è sempre percepita l’esigenza di coniugare la purezza classica di uno stile radicalmente umanistico con l’urgenza dei messaggi recapitati dall’irriducibile militante comunista.
Non di rado, così, la superba tensione narrativa dei suoi film è riuscita a fare pendere la bilancia sul versante più redditizio, riuscendo a schivare le trappole dello scontato o del didascalico. Non sembra proprio, purtroppo, che stavolta questo delicato e in fin dei conti salutare conflitto si sia risolto in bellezza: senza volere negare il diritto all’artista di prodursi in un veemente “j’accuse”, sarebbe stato ragionevole ottenere in cambio un tratteggio dei caratteri meno manicheo, una messinscena più articolata e una recitazione meno sottomessa alla tesi. Fará anche piangere, così, il calvario del falegname di Newcastle che diventa paladino di una ragazza madre espulsa dallo spietato meccanismo produttivo, ma assimilare l’Inghilterra odierna a una sorta di Corea di Kim Jong-un annacqua un bel po’ l’effetto.
IO, DANIEL BLAKE
Regia: Ken Loach
Con: Dave Johns, Hayley Squires, Briana Shann
Drammatico. Gran Bretagna/Francia 2016