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Pubblicato il 14 Ottobre 2010 | da Valerio Caprara

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Gorbaciof

Ancora una storia estratta dal sottomondo napoletano, in cui peraltro la pertinenza dell’ambientazione è meno decisiva della calibratura del dispositivo stilistico. Con “Gorbaciof”, infatti, Stefano Incerti dimostra d’essere un autore di fatto anziché d’etichetta: già titolare di una filmografia eclettica nella forma e nella sostanza (“Prima del tramonto”, “L’uomo di vetro”, “Complici del silenzio”), il quarantacinquenne concittadino ha lavorato insieme al cosceneggiatore Diego De Silva per asciugare quanto più possibile la via crucis dell’eroe negativo e renderne in questo modo universale la catarsi. Certo sarebbe inutile negare che il film si affidi soprattutto alla monumentale performance di Toni Servillo, in grado di fornire al protagonista tutte le spettrali, sfuggenti e struggenti sfumature che la regia ha amputato dall’azione e dal dialogo. Resta il fatto che proprio in base all’equilibrio drammaturgico “Gorbaciof” riesce a inserire una sincera qualità di riflessione personale in un contesto che non lesina affondi thrilling e melò.

Servillo è dunque Pacileo detto Gorbaciof (a causa della vistosa voglia sulla fronte), di professione contabile dei reclusi a Poggioreale che ogni notte si dedica al gioco d’azzardo mantenendo l’identico, totale e pressoché disumano controllo su voce, espressione e gesto. Il piacere dello spettatore è ovviamente garantito dal migliore attore italiano su piazza che arriva addirittura a rasentare la maniera (giacchetta strizzata con gli spacchi, camminata impostata, mossette impercettibili) pur di conferire alla presenza di Pacileo un quid inesplicabile di fierezza e grottesco. Quando ha problemi di liquidità preleva quanto basta dalla cassaforte del carcere e restituisce il denaro in tempi ragionevoli, rispettando il gioco di sponda istituito con gli altri personaggi immersi come lui nel limbo criminoso dell’odiosamata metropoli. Finché l’ingenua quanto incoercibile passione per una giovane cinese, figlia del titolare del ristorante nel cui retro si giocano cifre impressionanti, non lo condurrà alla sfaldatura della propria corazza e all’ingresso in una strada senza uscita.

Se Servillo resta il bonus vincente della progressione narrativa in fondo prevedibile, Incerti ha il merito di tenere sempre vive la ricerca, la selezione e la messa in evidenza delle emozioni che s’irradiano da un quartiere riconoscibile, realistico come quello del Vasto a ridosso della stazione ferroviaria per via quasi esclusivamente visionaria. A tale fine vanno segnalati altri punti di forza del film come l’eccezionale credibilità di Nello Mascia e la diabolica incarnazione di Geppy Gleijeses (un po’ sulla scia dell’avvocato interpretato da Sean Penn in “Carlito’s Way”); senza dimenticare componenti tutt’altro che secondarie come la fotografia di Pasquale Mari, il montaggio di Marco Spoletini, la scenografia di Lino Fiorito e i costumi di Ortensia De Francesco. Tornando a quello che dicevamo in partenza, è nell’aspirazione a questo tipo d’armonia che un regista può creare in proprio e dimostrare personalità senza attribuirsi salvacondotti di argomento o di tendenza.

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