Pubblicato il 15 Marzo 2010 | da Valerio Caprara
0Il 50° Anniversario di “A Bout de Souffle”
Jean-Luc Godard, che il prossimo 3 dicembre compirà ottant’anni, ritorna negli occhi, nel cuore e nella mente dei cinéfili italiani grazie a una serie di pertinenti omaggi. Ha iniziato la città di Udine con una rassegna di film e un convegno internazionale, poi toccherà al programma allestito dalla Cineteca di Bologna e infine il Museo del cinema di Torino riprenderà la retrospettiva alla presenza della storica firma dei “Cahiers du Cinéma” Jean Douchet. Per una volta, però, Napoli non starà a guardare e/o a recriminare grazie alla proiezione speciale di stasera al Multicinema Modernissimo (ore 23) di “Fino all’ultimo respiro” (“A Bout de Souffle”) di cui ricorre a sua volta il cruciale anniversario, il 50° della prima proiezione parigina. Il buon compleanno al geniale e inquieto cineasta verrà in questo modo opportunamente rafforzato nell’omaggio al titolo-manifesto della Nouvelle Vague, tratto da una sceneggiatura che Truffaut aveva scritto nel ’56 e ceduto tre anni più tardi per un milione di vecchi franchi all’amico e complice di sabotaggi culturali Jean-Luc. Nonostante le polemiche recentemente riemerse –per esempio in un’agguerrita edizione della purtroppo estinta manifestazione fiorentina France Cinéma- sugli effettivi meriti della rivoluzione linguistica innescata dai ‘giovani turchi’ destinati a passare dalla pagina scritta alla macchina da presa, resta, infatti, intangibile il fascino di un’opera toccata dalla leggiadra, sottile e nello stesso tempo veemente e aspra aura del classico.
Niente di più facile, pertanto, che persino per i cultori la visione su grande schermo delle avventure del ladruncolo trasformatosi senza causa in assassino interpretato da Jean-Paul Belmondo produca un piacere attivo e non solo celebrativo: tra i meccanismi applicati alla ballata ispirata ai noir americani di serie B e all’inglese Hammer Film specializzata nei vampiri spicca, non a caso, il ribaltamento del modello lineare e progressivo di racconto in una pluralità di registri che rasenta arditamente il caos emotivo e stilistico. Il beffardo giovanotto con la sigaretta perennemente tra le labbra fu correttamente interpretato come il campione di una generazione-contro, testimone della crisi di valori che sarebbe sfociata nel joli mai del Sessantotto; ma il film, in concreto, non vuole dirimere alcuna problematica sociale, bensì vivere nella dimensione frammentaria/fantasmatica del mito, che l’identificazione Belmondo-Bogart realizza a pieno titolo. Ne consegue che è più utile riferirsi all’anarchismo formale (ellissi di montaggio, scavalcamenti di campo, comparse che passano davanti all’obiettivo, battute cinicamente divaganti del dialogo, citazioni e allusioni autoreferenziali, cammei di amici e colleghi ecc.) grazie al quale vengono sovvertite le regole registiche del cinema “medio” dell’epoca. Come ha scritto il suo più importante esegeta italiano, Alberto Farassino: “Finzione, improvvisazione, casualità, rapporto ambiguo col reale: i temi di lettura per il Godard a venire sono già tutti enunciati”. Senza dimenticare che la fuoriuscita dal chiuso degli studi non favorisce solo l’economicità e la fluidità delle riprese, ma tramanda anche un habitat significativo. E’ evidente infatti come “Fino all’ultimo respiro” delinei nel contesto dell’azione una pionieristica mappa a tema dei luoghi cari ai nuovi dandy della macchina da presa: il dozzinale Hotel de Suède, i caffè di tendenza, gli Champs-Elysées (nei dintorni della redazione dei “Cahiers”), i cinemini per adepti, una birreria a Saint Germain des Prés o uno studio fotografico di rue Campagne Première.
Per ribadire che apprestarsi al rito di stasera Modernissimo vuole dire, in fondo, parlare del presente, basta fare notare come la decostruzione godardiana, mirata a sciorinare un vitalismo esistenziale negato dalle stesse contraddizioni dei protagonisti, sia omologa a quella operata negli anni Novanta da Quentin Tarantino.