Pubblicato il 4 Marzo 2016 | da Valerio Caprara
4Perfetti sconosciuti
Sommario: Metti una sera a cena: gioco al massacro a colpi di smartphone
3.5
Ha ragione il pubblico oppure la critica? Meno male che il ricorrente quanto balordo quiz finalmente non si ponga a proposito di “Perfetti sconosciuti”, la commedia di Paolo Genovese che sta raccogliendo lodi copiose da ambedue i versanti. Consolati dall’evento, rinunciamo innanzitutto a insistere su ciò che hanno notato in tanti e cioè che nel corso delle ultime stagioni si sono visti e discussi sin troppi film –da “Carnage” a “Il nome del figlio” a “Dobbiamo parlare”- fondati sull’identico spunto della cena tra amici come detonatore di caratteri.
Anche perché toglieremmo merito al regista e al suo team di sceneggiatori che hanno avuto il coraggio di concentrare il film in un unico ambiente e d’imbastirci un’escalation di segreti, bugie e rivelazioni in apparenza solo futile e piccante, ma a poco a poco in grado di mortificare le borghesissime certezze di tre coppie più un single.
Da buoni cinefili gli autori avrebbero potuto anche intitolare il proprio film “2016: Odissea nello smartphone”, perché i cortocircuiti pericolosi non tardano a verificarsi appena i commensali si lasciano tentare da un’aggiornata versione del gioco della verità, l’azzardo di posare i cellulari ben in vista sulla tavola in modo che ogni chiamata o messaggio dovrà giocoforza essere condiviso da tutti.
Che incauti, seguirà catastrofe… Non essendo il caso d’intonare la solfa nostalgica sulla vecchia commedia all’italiana e convenuto che sarebbe sciocco mettere a confronto, per esempio, Risi, Comencini, Germi e Monicelli con Genovese, Miniero, Brizzi e Martani, basterà dire in proposito che in “Perfetti sconosciuti” la verosimiglianza dei temi e delle situazioni non è volgare od orecchiata e la coralità della brigata non è un escamotage per mettere insieme un po’ di facce note al vano inseguimento degli exploit di Zalone. I dialoghi sono abbastanza rapidi e pungenti e gli attori reggono il ritmo in una gamma di rendimento che va dall’ottimo (il chirurgo Marco Giallini, la psichiatra Kasia Smutniak, il tassista Edoardo Leo) al buono senza perdere di vista le sfumature e i dettagli e soprattutto indulgere alle solite pennellate grondanti messaggi moralistici e simbolismi sociologici: certo appare una palese forzatura il fatto che i nostri antieroi abbiano un così cospicuo fardello di pastrocchi di sesso e tradimenti da nascondere e la metafora, per così dire, lunare ce la saremmo risparmiata; però la fluidità dei dialoghi e l’empatia tra i personaggi riescono quasi sempre a incalzare gli spettatori, ai quali viene per di più dedicata una capriola narrativa che li farà discutere per una volta non a vanvera all’uscita dalla sala.