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Emilia Pérez
Sommario: Rita, avvocatessa messicana specializzata controvoglia nella difesa di loschi criminali, viene contattata da Manitas, boss dei narcos che in antitesi alla propria truce personalità sta completando il processo di transizione di genere e ha deciso d'ingaggiarla per scegliere la clinica e il chirurgo migliori, simulare la propria morte e mettere al sicuro moglie e figli in Svizzera.
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Se ci limitassimo a trascrivere la trama di “Emilia Pérez” in pochi correrebbero a vederlo. Succede invece, come hanno certificato i premi a Cannes, agli EFA e ai Golden Globe nonché i pronostici propizi per gli imminenti Oscar, che questo musical trans finto messicano in realtà di produzione e concept francesi (è ispirato a un capitolo del romanzo Écoute di Boris Razon) costituisca un caso unico e notevole per come spiazza, stupisce, corre il rischio del ridicolo e del gioco pretestuoso, ma non smette mai di avvincere grazie al ritmo survoltato e lo stile a metà strada tra i classici di Almodòvar e una telenovela, appunto, sudamericana. Di conseguenza, ritenendo Jacques Audiard (“Sulle mie labbra”, “Il profeta”, “Un sapore di ruggine e ossa”) non solo uno dei migliori registi e sceneggiatori contemporanei, ma anche il più audace nello scegliere soggetti sempre diversi e preferibilmente insoliti ed eccentrici, è opportuno che del suo decimo film vada riferito solo il minimo indispensabile. Tenendo presente che sarebbe ideale vederlo nella versione originale parlata/cantata in spagnolo e recitata anche in inglese, perché quella doppiata purtroppo appiattisce un po’ tutto.
C’è infatti Rita (Saldana ex “Avatar”), avvocatessa stremata dall’obbligo di assumere la difesa di loschi criminali per il tornaconto del suo ufficio e c’è Manitas (Karla Sofia Gascón nata Juan Carlos), truce boss dei narcos che in clamorosa antitesi alla propria identità sta completando il processo di transizione di genere e decide d’ingaggiarla per scegliere la clinica e il chirurgo migliori, simulare la propria morte e mettere al sicuro col massimo comfort moglie (Gomez) e figli in Svizzera. In questo modo è delineata solo la cornice di un film che definiremmo di “artificiosità controllata”, tanto è vero che per apprezzarlo sino in fondo è necessario rinunciare a qualsiasi pretesa di verosimiglianza ed entrare in adrenalinica sintonia con le coreografie di Damien Jalet e le canzoni della cantautrice Camille e il compagno Clément Ducol che accompagnano, scuotono, danno energia alla storia: non a caso il mondo immaginario del film, la sua struttura da libretto d’opera e i suoi personaggi-archetipi sono tutti già introdotti dal primo balletto sulle note di “Alegato” (“La supplica”), con cui Rita si rivolge agli spettatori come nella scena iniziale di un dramma di Shakespeare. Nello stesso senso sarà difficile dimenticare il balletto dei dottori che illustrano ai clienti la pratiche necessarie per cambiare sesso oppure l’ultima sequenza in cui il corteo di una processione intona in coro una versione spagnola della struggente canzone di Brassens “Les Passantes”.
Le peripezie che s’intensificano nella seconda parte non solo inseriscono nello show il noir (non si sfugge mai al passato) e il cinema politico (peraltro targato Saint Laurent che coproduce e firma i costumi), ma sulle tracce della (davvero) trasmutata protagonista, divenuta paladina dei desaparecidos assassinati nelle guerre scatenate dai cartelli della droga locali, rovesciano il mito del Conte di Montecristo, il vendicatore sotto falso nome per eccellenza, suggerendo con un ghigno beffardo che le vie del Bene sono infinite e sfruttando al massimo le iconografie da ex voto popolare di una terra in cui il rosso del sangue ribolle di caldo, sudore e sensualità oppure scorre dai corpi violati, feriti o manipolati. Considerando, infine, che Audiard serra le fila del racconto con un plurimo omaggio all’aggiornata promiscuità sessuale, qualcuno s’è subito affrettato ad affibbiare al film l’etichetta di “potente manifesto queer”… Niente di più forzato perché “Emilia Perez” fa certo parte a pieno titolo della nuova sensibilità erotica e amorosa, ma le sue brillanti piroette sono al servizio del film e non viceversa. Nessuna traccia di messaggi da recapitare, nessuna concessione alla precettistica Lgbtqia+, solo cinema, nient’altro che cinema.