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Pubblicato il 4 Novembre 2010 | da Valerio Caprara

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Una vita tranquilla

 L’entusiasmo (anche istituzionale) tramandato dal Festival di Roma ci sembra con tutto il rispetto esagerato. “Una vita tranquilla” di Claudio Cupellini conta, infatti, un po’ troppo sul mattatore Toni Servillo per potersi garantire il “tocco in più”, quello che piace a un certo pubblico e conferisce dignità d’autore al di là di un’autentica sfida espressiva. Il lavoro del trentasettenne regista, fattosi notare con la commedia “Lezioni di cioccolata”, prende le mosse da una tematica di drammatica attualità (le infiltrazioni della malavita nostrana nel tessuto connettivo dell’economia tedesca) e ci costruisce -più sopra che dentro- un noir professionalmente rifinito, ma ordinario nello schema, plateale nello scioglimento e, come dicevamo, alquanto ingenuo nell’allegare il suo vago messaggio come una sorta di bollino-qualità.

Il cinquantenne paisà Rosario gestisce un accorsato hotel-ristorante nei dintorni di Francoforte con la bella consorte teutonica, dalla quale ha avuto il biondo frugoletto Mathias. La vita ordinata e pour cause tranquilla dell’esemplare immigrato viene sconvolta quando vengono a trovarlo due giovani italiani, dall’aspetto e i modi a dir poco sinistri. Edoardo (Francesco Di Leva) e Diego (Marco D’Amore) sembrano la copia, in avanti con l’età, dei due delinquentelli di “Gomorra”: sboccati, violenti, pronti a godere dell’ospitalità (anche sessuale) della gentile gente del luogo e soprattutto febbrilmente intenti a preparare un colpo criminale dalle proporzioni imprevedibili. Il gioco pericoloso è complicato dal fatto che Rosario è, in realtà, legato da un profondo legame con Diego; tanto da attivare ben presto nel percorso del film il classico tema del ritorno rovinoso del passato rimosso.

Scritto da Cupellini insieme a Filippo Gravino e Guido Iuculano, “Una vita tranquilla” ha il merito di cogliere con eleganza e credibilità gli sfondi della storia, che finiscono con l’assomigliare a un distributore di benessere automatico, una ribalta illuminata da luci fredde e distaccate dove si recitano monotoni copioni esistenziali, un habitat perfetto per occultare i misfatti della criminalità sovranazionale. Dove, però, il film non funziona bene è nel filo d’equilibrio drammaturgico teso tra i tormenti di Rosario, le azioni realistiche, se non documentaristiche dei vari personaggi e il sostrato simbolico-pedagogico che rischia a ogni passaggio di rendere l’insieme manieristico. Il grande Servillo, ingrassato e barbuto, impeccabile quando si muove tra i fornelli con l’immacolato abito da chef contrassegnato dalla mostrina tricolore e per di più pronto nella versione originale a esprimersi in tedesco, ricorda certe belle incarnazioni dell’italiano all’estero alla Risi o alla Brusati, ma per la prima volta sembra un po’ seduto sulla parte, costretto in qualche frangente a innestare il pilota automatico e quindi non abbastanza coinvolgente quando suona il gong dell’inevitabile catarsi.

UNA VITA TRANQUILLA

REGIA: CLAUDIO CUPELLINI

CON: TONY SERVILLO, MARCO D’AMORE, FRANCESCO DI LEVA, JULIANE KOHLER

ITALIA – DRAMMATICO 2010

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