Recensioni

Pubblicato il 18 Marzo 2016 | da Valerio Caprara

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Truth – Il prezzo della verità

Truth – Il prezzo della verità Valerio Caprara
regia
ritmo
originalità
interpreti

Sommario: Giornalisti battaglieri nel 2004 tentano di azzoppare il candidato alla Presidenza Usa George W. Bush. Verranno ridotti all'impotenza anche a causa dei propri errori.

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Dopo l’Oscar a “Il caso Spotlight”, ecco un bis che allunga la lista dei film americani fieri di battersi contro il Potere e di portare fiori al mausoleo del fu-giornalismo puro e duro. “Truth – Il prezzo della verità”, che segna debutto registico dell’apprezzato sceneggiatore James Vanderbilt, si basa sul memoir scritto dall’ex giornalista e producer della CBS Mary Mapes a proposito di una vecchia inchiesta condotta in coppia con l’anchorman Dan Rather tanto clamorosa quanto deleteria per la sua carriera. Nulla da obiettare, ovviamente, sull’eterno ritorno del filone hollywoodiano che toccò i suoi vertici nel corso degli anni Settanta sia dal punto di vista del coraggio politico che da quello formale ed emotivo. Alla resa dello schermo, però, non solo stavolta lo sviluppo narrativo mostra alcune crepe, ma addirittura la nobile tematica finisce seppellita dal crollo di una delle architravi deontologiche del mestiere. Infatti vi si ricostruiscono le indagini che i due, supportati da una squadretta di colleghi d’assalto, effettuarono nel 2004 nel corso del duello elettorale fra gli aspiranti presidenti George W. Bush e John Kerry: l’inchiesta mirava a documentare come il primo, in lizza e favorito per il secondo mandato, fosse riuscito a sottrarsi al servizio militare in Vietnam grazie alle manovre messe in campo dal clan familiare.

Si assiste, così, a un racconto zeppo di riferimenti a fatti e personaggi della recente storia Usa da noi poco noti, punteggiato da banali inserti biografici – una caduta di qualità madornale, per esempio, è segnata dall’anticlimax domestico della pasionaria afflitta da figlio lasciato alla deriva e marito ridicolmente pantofolaio- appesantito da tirate retoriche sui cittadini che “hanno il diritto di sapere” e abbarbicato alla mitica icona dell’impegnatissimo quanto stropicciatissimo Redford/Rather. Più grave è che costituiscano, come premesso, un autogol le motivazioni della Blanchett/Mapes lodevoli in teoria, ma sbagliate nella prassi: la malaccorta e un po’ isterica protagonista, considerando Bush colpevole “fino a innocenza contraria”, non esita a sorvolare sull’autenticità delle notizie e a divulgare accuse senza garantirsi la credibilità delle fonti. Salvo poi a lamentarsi quando i potenti avversari procederanno ad altrettanto scorretti contrattacchi. Sui complessi rapporti tra informazione e politica e sull’asserita impossibilità di arrivare a una verità certa (?) era lecito attendersi, insomma, qualcosa in più del solito pamphlet monouso.

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