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Pubblicato il 4 Maggio 2020 | da Valerio Caprara

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Zeffirelli e Visconti (di Francesco Capozzi)

Pubblico per il piacere dei gentili frequentatori di questo blog un articolo curioso, sottile e colto sospeso tra realismo e fantasticheria un po’ alla Alberto Savinio. Ne è autore l’insegnante, saggista e operatore culturale Francesco Capozzi di Portici, la città vesuviana dove ho vissuto l’adolescenza e a cui debbo la mia irriducibile vocazione di cinefilo.

     ZEFFIRELLI E VISCONTI. UN DIALOGO.

                 “La fantasia è madre di ogni poesia, così come di ogni storia”                                                                                                        Theodor Mommsen

 

Roma, Studi della Titanus.

Febbraio 1954.

<E’ mai possibile che nessuno mi riesca a trovare una vecchia che sia vecchia davvero? Ma ch’è? Il cinema americano vi ha resi ciechi?>, così Luchino Visconti si rivolgeva alla troupe che gli stava attorno, sul set del film “Senso”, attenta a non farsi coinvolgere in una di quelle sfuriate famose del regista (salvo poi, da gran signore qual era, mandare a mo’ di scuse -si, ma dopo- cioccolattini o fiori, a seconda del sesso: reale o presunto…). Però c’era un mezzo sorriso, ma appena accennato (non voleva far sapere che si conoscevano molto bene) mentre guardava Franco Zeffirelli, a cui sembrava rivolgersi…. E Franco capì benissimo l’antifona, e anche il messaggio di tregua: era la stessa richiesta, ma allora fu molto più collerica, che una decina di anni prima a Firenze aveva permesso di conoscersi, lui oscuro aspirante-scenografo, e l’altro, nobile Signore di terre e Castellanie, comunista, militante della Resistenza, intellettuale famosissimo e carismatico, Luchino Visconti di Modrone. Ma Franco, ormai, lì si trovava come ospite, perché non lavorava più nella produzione del film, dove era stato aiuto regista. <Si, si ci penso io, non ti preoccupare…>, se ne uscì Francesco Rosi, l’altro aiuto rimasto, dopo che Zeffirelli l’aveva mollato; e che con la sua flemma napoletana era l’unico in grado di rabbonire, con dignitoso distacco, il collerico Maestro. Certo non voleva che lo si chiamasse Duca o Conte (aveva tutti e due i titoli); anche se, pensava Franco un po’ sul sarcastico e con una punta di malignità, non tollerava che la servitù ( “si, si, aveva più un cameriere, anche fuori casa: all’anima del comunista!”, chiosava sempre tra sé) non lo chiamasse Signor Conte. E non voleva che gli si desse del tu: solo Suso Cecchi D’Amico, la sceneggiatrice storica del regista, e sua grande amica, e Francesco Rosi, potevano farlo: Rosi  che comunque era un semplice aiuto, messo lì per la comune appartenenza al Partito Comunista: lui invece non solo non era comunista, ma era di idee opposte, anche se amico (“più che amico…” del Contino): ma non aveva capito le ragioni di quest’abitudine a farsi dare del tu anche in pubblico, da Rosi (forse perché erano “compagni” di Partito e lui era amico di scuola di Giorgio Napolitano, un pezzo grosso del PCI); e dire che Francesco, etero totale, non era nemmeno lontanamente interessato al regista. “Mentre con me era distante: perché lo faceva?”, si domandava spesso Zeffirelli stizzito, “per umiliarmi? Perché lo stimava di più? E la passione tra noi? Ne ha forse vergogna?” qualche volta lo pensava: anzi spesso; solo che non voleva dirselo ad alta voce. Zeffirelli gli dava del lei, almeno in pubblico: ed erano amanti, almeno dal 47: fin dai tempi della lavorazione di “La terra trema” (film del 48, tratto da “I Malavoglia” di Giovanni Verga). Francesco, da intelligente e uomo di fair play qual era, osservava e intendeva, ma  faceva come se niente fosse; né si comportava con  lui in modo men che cameratesco e corretto. Comunque la cosa a Zeffirelli bruciava…

Però stavolta si era stancato di questo modo di fare: anzi, non ne poteva proprio più. Voleva avere un chiarimento: definitivo; e anche un addio meno conflittuale. Già a Valeggio sul Mincio se ne era andato, a settembre, abbandonando quasi all’improvviso il set, in un momento importante -stavano per girare gli “esterni” della battaglia di Custoza del film- perché “il Contino” aveva avuto un moto d’ira con lui e Francesco, davanti a tutti. Mentre a Rosi era passata (anche perché come al solito chiese scusa), lui si sentì talmente offeso e irato che volle lasciare tutto, accampando dei pretesti d’impegni, solo in parte veri: insomma, non reggeva più il  temperamento di Visconti: e poi nei suoi confronti… E in quel momento anche la loro relazione finì. Visconti e la troupe si trovava a Roma perché a riprese del film completate e perfino con montaggio ultimato, dovevano girare lì  le due sequenze che erano state imposte per motivi di censura: quella dell’esecuzione  di Franz, l’attore “hitchcockiano” Farley Granger, al Castel Sant’Angelo e della follia della protagonista Livia, la splendida e assai in parte Alida Valli. A set pronto, in attesa della luce pomeridiana adatta (giravano in Technicolor), Visconti ebbe una pausa con Zeffirelli, da soli in una trattoria a Trastevere.

<Allora, come ti va alla Scala come scenografo? Finalmente ce l’hai fatta ad entrare?>,  fece Visconti, tra il sardonico e l’innocente. Il non detto e la domanda sotto testo erano: “mi hai lasciato; le tue relazioni politiche governative democristiane in particolare ti hanno portato dove tu volevi? Ha reso in termini di scambio politico  il fatto che tu pubblicamente, hai lasciato la “banda comunista” del Conte Rosso?”. <Non è vero che è stato per una qualche pressione che ho avuto il contratto alla Scala…>, tentò subito di rispondere Franco, anche “troppo” subito, come se fosse stato preso in flagrante… e a voce bassa. Ma Visconti lo interrompe alzando solo la mano, come avrebbe fatto qualche suo antenato Principe rinascimentale, con una regale e naturale signorilità che non ammette deroghe o repliche, ma impone solo il silenzio… <Franco>, fa il regista, con quella sua tipica voce bassa, profonda e pacata, che incuteva soggezione più delle sue intemerate; e che era di un fascino unico e irresistibile: come se parlasse attraverso secoli di ascendente naturale e indiscusso sulla gente: e lo sapevano i Produttori che sganciavano i soldi richiesti senza più obiezioni, perché era impossibile porgli dei rifiuti o riserve …<con me non devi dire cazzate. Io so bene quel che ti è passato per la testa. Tu vuoi splendere di luce tua: ed è giusta ambizione: anche se, come ha detto più volte Anna Magnani, a te e in pubblico, tu sei un gran figlio di m… E per fare carriera non arretreresti di fronte a nulla…>. <Ma che dici?….>, tentò di interloquire Zeffirelli, per spezzare questa ondata di paternalismo, anche se pronunciata con lucida freddezza. <Il fatto che io cerchi di farmi strada, di incontrare gente che mi apprezzi…>, e qui ebbe una pausa, che voleva essere enfatica e piena di lamentele, rimpianti inespressi nei suoi confronti… <Che poi quelli che mi apprezzano siano fuori della tua> e su questa altra pausa, caricò di forzata ridondanza <parrocchia…, cioè i comunisti, è un problema tuo, che hai trovato il mondo già a tuoi piedi: ricchezza, nobiltà, carisma, intelligenza e in più comunista: è il colmo…> <Si>, riprese Visconti con fare piccato e in un crescendo di voce sempre più tesa, <come i tuoi maneggi con quell’orribile Scicluna Sorge, che, da funzionario ex fascista della censura nel nostro paese, ora democristiano con le stesse mansioni che aveva nel regime, ci sta seguendo come un’ombra malevola: è vero che per legge  ha la sceneggiatura, ma chi l’ha avvertito dello sviluppo del film?  Chi gli ha dato certezza del fatto che sta uscendo un bel film, se non uno che ne capisce e ne ha seguito la lavorazione dall’interno fase per fase, girato per girato? E siccome già è stato selezionato in Concorso a Venezia, lì che farà contro di noi? Perché già ora si sta adoperando che ci sia una Giuria a noi sfavorevole? Sicuramente quel tizio ha avvertito lo Stato Maggiore dell’Esercito, che ci vuole fare causa perché nella battaglia di Custoza del film avremmo denigrato nientedimeno l’esercito italiano, per un avvenimento bellico del 1866! Ma chi gli ha segnalato l’importanza dell’episodio che in sceneggiatura era marginale? Chi è stato se non tu?>, sbottò alla fine infuriato e quasi fuori di sé l’altrimenti olimpico Conte, infiammandosi per quello che sentiva essere stato un vero tradimento. <Guarda che ti hanno visto entrare in quell’ufficio; e poi credi che non si conoscano le tue idee e frequentazioni?…>, soggiunse in un gemito quasi spossato per la sfuriata. Zeffirelli tacque, poi anch’egli in sospiro cercò di replicare: <Sono stati incontri casuali…>.

Visconti liquidò con un cenno le stanche parole di Zeffirelli. Ritornò calmo in sé e riprese, addirittura con dolcezza:<Si è vero: ho avuto i natali che sai; non mi è mancato nulla, né di agi né di affetti. Ho fatto, e ne ringrazio i miei genitori e fratelli, le scelte, sia politiche che di vita e di lavoro, che ho voluto e ho potuto farle liberamente. Dovresti forse invidiarmi perché non hai avuto le stesse chances? Però, e credimi è ancor meglio, tu te le stai costruendo da solo: e non ho il minimo dubbio che tu farai un carriera splendida. Pensi che ti dica bugie o sia ipocrita  in ciò che ti dico?>. Aspettando la risposta che non veniva, e né ci doveva essere, Visconti lo guarda fissamente, con quello sguardo tremendamente espressivo, acuto, intenso e profondo, che metteva a disagio chiunque. <E pensi che io sia o possa essere invidioso di te? Dei tuoi futuri, sicuri successi? Guarda che io ti ho scelto perché valevi, e avevi qualità che ti porteranno sicuramente a  diventare ciò che vuoi, qualunque cosa sia;  non perché mi piacessi…>, e questo lo diceva abbassando la voce, e anche sorridendo a fior di labbra: ma senza alcuna ironia, o condiscendenza, palese o velata; calibrando ogni parola, che uscivano come da un silenzio, a lungo meditato. E difatti tra loro calò una quiete quasi malinconica. Poi il regista riprese a parlare, con un’incisività ancora più forte e concentrata <Tu sei diverso da me. Ritieni che io possa essere stato il tuo modello…No, non mi interrompere> aveva notato che Zeffirelli voleva interloquire, protestare e negare il suo dire…<Sai qual è il problema? Credi, e purtroppo lo crederanno per superficialità anche in seguito, che le nostre scelte in fatto di cura maniacale della bellezza, dell’armonia, nella ricostruzione di un’opera d’arte, di una scenografia siano dettate da un identico amore per le cose belle e la loro messa in opera. Ti sbagli e di tanto. Per frati capire: quando abbiamo ricostruito nel film  il quadro di Hayez “Il bacio” (1859), mentre si baciavano appassionatamente Franz e Livia, tu insistevi per portare quelle che per te erano delle migliorie alla scenografia: ma ti sfuggiva la passione distruttiva, l’abbandono mortale di lei verso lui, che erano narrativamente centrali e drammatici, e ho dovuto respingere con forza, e ci siamo pure bisticciati sul set, quelle libertà che ti eri preso su questa scenografia e hai pure interferito col direttore della fotografia (Robert Krasker) che invece aveva capito perfettamente ciò che volevo.  E anche per la sequenza della Battaglia di Custoza, dove proprio mi hai fatto infuriare, quando tu avevi tolto delle facce, perché le avevi definite “brutte”, che invece dovevano mettere in evidenza cinematografica, con la loro sofferenza, l’assurdità e la presunzione delle scelte dei Comandi militari e le conseguenze che queste avevano avuto sui destini dei soldati. Insomma, se vuoi saperlo, credo che il tuo senso della bellezza, per quanto appariscente e colto, sia sterile e privo di contenuti profondi, sia emozionali che sociali. E’ un’esteriorità che resterà sempre tale: solo di superficie. E quindi, nonostante tutte le altre ragioni che tu possa erroneamente e banalmente pensare, son queste le vere motivazioni del nostro essere assolutamente diversi>, concluse Visconti: e, guardandolo diritto negli occhi, incrociò le braccia, come se avesse detto parole ultime e definitive, che non ammettevano replica. E così le intese Zeffirelli. Dopo qualche minuto, in silenzio si alzò e lasciò il tavolo. Dopo poco, anche il regista si riscosse: si era fatta l’ora: il sole si trovava al punto giusto per fare le riprese. Si alzò, pagò e andò sul set.  

E da quel giorno i contatti, sia professionali che personali, tra i due cessarono del tutto.

 

Franco Zeffirelli è morto a 96 anni nel 2019, è stato con Luchino Visconti (1906-1976); ha iniziato come aiuto regista in diversi suoi film fino a “Senso” (1954).

   

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