Recensioni

Pubblicato il 27 Febbraio 2021 | da Valerio Caprara

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Verdone parla del nuovo libro di Verdone

Un famoso regista che dorme solo con il Librium e ha la mania di portarsi sempre dietro una pistola. Una giovane prostituta priva di qualsiasi segno volgare amata platonicamente come in un film di Pasolini o di Zurlini. Un elefante del circo Orfei che facendo l’inchino all’illustre ospite lo centra con uno sputacchio sulla fronte. Il batterista dei Who Keith Moon che esasperato dai richiami dei fan radunati sotto l’albergo s’affaccia alla finestra e gli scaglia addosso un televisore. Il bullo romanaccio che in una bisca si piazza un secchio sul pene eretto e lo solleva per dimostrare agli astanti la sua potenza virile. Nel corso del festival della poesia a Castelporziano un partecipante sale sul palco e inizia a declamare il suo contributo: “Mio padre pasce le pecore… È ’no stronzo!”, mentre un altro, tale Piromalli inizia a recitare l’ode “Affanculo”… Sembra un film di Carlo Verdone, ma in realtà è un libro di Carlo Verdone: La carezza della memoria, appena uscito per Bompiani, che ha il vantaggio rispetto alla prima ipotesi di non durare un paio d’ore, bensì un tempo illimitato perché sembra fatto apposta per essere letto, riletto, spiluccato e riassaggiato senza vincolo alcuno. Non è il seguito del precedente bestseller La casa sotto i portici, però, dato che la vena autobiografica mista di allegria e malinconia si è evoluta in questi densi quanto scorrevoli capitoli (alla cui cura ha collaborato il critico e saggista napoletano Fabio Maiello) sino ad avvicinare ciò che nell’uomo e nell’artista viene generalmente separato, a disvelarne aspetti ancora ignoti, a sensibilizzare il lettore sul fatto che nessun episodio si consolida se non collegandolo agli altri nonché a potere dimostrare che raccontare significa saper “vedere” più in là di quanto si ricorda.

Carlo, grazie al lockdown per questo libro ti sei speso al massimo…

“Sta’ bono, da uno scatolone spaccatosi cadendo da un armadio (colpa delle mie anche oggi per fortuna risanate) un giorno è fuoriuscita una massa di foto, agende, ritagli, ricevute, locandine e così ho cominciato a riprendere in mano oggetto per oggetto senza immaginare che sarei stato risucchiato in un viaggio a ritroso nel tempo estenuante eppure enormemente appagante. Piccole storie, grandi storie, personaggi, immagini, emozioni, autentiche sequenze di film incorporati nella memoria che ho voluto fermare perché rimossi senza motivo e invece estremamente importanti”.

Insomma niente a che fare coi soliti resoconti cronologici.

“Credo proprio di no. Chi legge il libro s’accorge come parli di una vita vissuta quasi sessualmente, sempre e comunque nel segno della ricerca dello stupore. Sì, sì, proprio il parossistico desiderio di stupirmi nello scovare, ingigantire, imitare i particolari minimi, i dettagli insoliti, i tic ossessivi esibiti dai congiunti, gli amici, i colleghi e soprattutto dagli sconosciuti colti, intravisti, archiviati solo casualmente. In quella cassa, insomma, s’era nascosto il mio dna definito dal critico Natalino Bruzzone di ‘pedinatore d’italiani’”.

Gli scorci, in particolare, in cui davvero “accarezzi” il lettore sono quelli evidenziati dalla capacità di collegare i luoghi, le atmosfere e i fatti con una scrittura acquarellata, luminosa, lieve e mai pretenziosa anche quando sta per spezzarsi sull’onda della tenerezza.

“Credo che tu alluda al mio rapporto con papà (l’autorevole scrittore, studioso e cattedratico Mario ndr) e al sentimento ispiratomi dalle tre città diventate luoghi dell’anima. Certo lui, ma insieme a tutta la famiglia sono stati i miei maestri dell’osservazione, della curiosità, dell’interesse anche in senso caricaturale per il prossimo. È per questo che non ho voluto, per esempio, divaricare nel racconto l’arricchimento regalato da un padre così serio quando mi portava con sé in viaggio in un’infinità di nazioni dallo spasso procuratomi dalla sua difficoltà a padroneggiare certe pratiche comuni (alla prima uscita sull’auto acquistata dopo avere conseguito dopo molte bocciature la patente andò a sbattere violentemente, tanto è vero che l’amico pittore astrattista Sadun volle dedicargli un bellissimo olio commemorativo dell’incidente). Di Torino ho imparato ad amare la grazia schiva, la qualità dei piaceri e la ruvida lealtà e competenza del pubblico. Su Roma è inutile dilungarmi e su Siena basta dire che è la mia seconda città perché lì sento sempre vibrare le radici. Quando nell’81, nel corso del rodaggio per conto del Piccolo Eliseo di ‘Senti chi parla’, lo show in cui incarnavo 26 personaggi, salii sul palco con la raccomandazione di mio padre di dare tutto perché la sua era una città ‘difficile da espugnare’, fui incredibilmente perfetto conquistando il viatico decisivo per la carriera. E all’uscita notturna ebbi anche il bellissimo regalo di ritrovarmi nell’immensa Piazza del Campo deserta e ricoperta dalla neve”.

      

 

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