Recensioni

Pubblicato il 4 Gennaio 2018 | da Valerio Caprara

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Tutti i soldi del mondo

Tutti i soldi del mondo Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazionii
emozioni

Sommario: Ricostruzione thrilling del rapimento a Roma da parte della 'ndrangheta di Paul Getty III e delle intricate, malaccorte e occultate circostanze del rilascio dell'ostaggio.

1.5


Prima contraddizione: si potrebbe detestare a priori il film di Ridley Scott sul rapimento Getty a causa dell’odiosa sostituzione a film già girato del reprobo Spacey con il veterano Plummer, ma poi succede che la ghignante prestazione di quest’ultimo si riveli uno dei pochi titoli di merito del thriller. Seconda e terza contraddizione: l’operazione staliniana eseguita su ben 400 inquadrature ha finito col regalare un ulteriore e inaspettato traino pubblicitario a “Tutti i soldi del mondo”, sicuramente in grado di tenere fede alla definizione di film “da pubblico” che però, al contrario di quanto pensano molti esperti, non costituirebbe per noi un marchio d’infamia. Peccato che stavolta il suddetto destinatario dovrà dotarsi di una capace bocca buona…

Dopo il prologo che illustra la nascita dell’immensa fortuna del petroliere Paul Getty I incarnato da Plummer in affari alla fine della seconda guerra mondiale con i nobili sauditi, ci si trasferisce a Roma dove gli eredi si concedono la bella vita nonostante incombano i tetri anni di piombo: Getty II si fa d’eroina, mentre la consorte divorziata Abigail (Michelle Williams) ha il suo daffare nel contenere l’adolescenza difficile del figlio John Paul Getty III. Il 10 luglio del ’73 il diciassettenne mezzo hippie viene rapito dalla ‘ndrangheta che, come riportato dalla cronaca del tempo e dal relativo libro-inchiesta di Pearson, chiede al patriarca 17 milioni di dollari di riscatto. A questo punto emergono le caratteristiche di un prodotto che non accrescerà la gloria dell’autore di “Alien” e “Blade Runner”: esplosivo e incalzante sul piano del montaggio e del climax dell’azione pura, il biopic dinastico, in assenza di un tratteggio caratteriale e ambientale dignitoso, va a parare sempre più sbrigativamente nel duello costruito con l’accetta drammaturgica tra la madre coraggio e un nonno che sta tra Paperon de’ Paperoni e Re Lear, una sorta di avido e anaffettivo strozzino capitalista che si lava le mutande a mano per risparmiare. Per il buon peso –tralasciando il ruolo dell’ex agente Cia (Wahlberg) ingaggiato per sciogliere le tormentose trattative con i sequestratori- l’Italia, gli italiani e le istituzioni italiane sono tratteggiati così grossolanamente da ottenere l’effetto paradossale di non farci vergognare delle veristiche magagne nostrane, bensì per il livello della loro rappresentazione (con la visita al covo delle Brigate Rosse che tocca il vertice delle caricature).

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