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Pubblicato il 15 Aprile 2017 | da Valerio Caprara

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Troppo Totò?

Ieri mattina, grazie anche alla bella giornata di sole e alla festosa ma non morbosa partecipazione degli abitanti del rione Sanità, le manifestazioni per il cinquantennale della morte di Totò si sono avvicinate al top di una non facile sintesi tra solennità istituzionale e culto popolare. L’inaugurazione del geniale blocco monolitico di Peppe Desiato, con il vuoto della sagoma ideato proprio per rappresentare l’invito a tutti gli ammiratori vecchi o giovani, abituali o accidentali di continuare a entrare e spaziare nella mitografia del personaggio, forse è servita peraltro a segnalare un pericolo di non poco conto: quello della speculare possibilità di potere “uscire” a piacimento da tutto quello che per l’attore-artista in questi mesi si è organizzato e realizzato. Si sa, infatti, come si evolvono certi fenomeni, magari senza la precisa responsabilità di un intento negativo: la retorica può prendere la mano, l’evento può esaurirsi nella cronaca, il magma dell’ammirazione unanime può solidificarsi in una materia inerte e informe.

A proposito di Totò, certo, questo catastrofico destino sembra fronteggiato in partenza perché è acclarato che nel dna dell’attore-artista permanga una sostanza misteriosa, inafferrabile e inclassificabile che lo rende impermeabile alle ricorrenti procedure d’imbalsamazione. Però qualche dubbio viene considerando, per esempio, i paradossi che si sono susseguiti sul piano delle letture e riletture della carriera del principe De Curtis e sono confluiti in un’impressionante stratificazione di pensieri, argomentazioni e interpretazioni capaci di contraddirsi vicendevolmente. E’ vero che Totò è di tutti e che il suo carisma resta imprescindibile per chiunque s’avvicini alla storia del cinema, della rivista e della tv nazionali, però sarebbe sbagliato utilizzarlo come un feticcio che sterilizza qualsiasi contraddizione e viene buono per tutte le stagioni.

A sfogliare, per esempio, le pagine della sostanziosa antologia Totò e la gaia scienza che uno studioso inappuntabile e della prima ora come Orio Caldiron ha pubblicato per le edizioni di Cinemasud/Laceno d’oro (ed è tutt’ora disponibile nelle edicole in abbinamento al nostro quotidiano), si capisce che Marotta non lo inquadrava nella stessa ottica di Soldati; Pasolini non amava affatto i suoi film oggi rivalutati; Arbasino lo preferiva nel ruolo d’indiavolato fantasista del teatro: Bispuri lo metteva in temeraria relazione con la scivolosa matrice pulcinellesca; Zapponi lo paragonava paternalisticamente a uno zio matto ricco d’umanità più che di talento; Fofi insisteva sulla netta superiorità del Totò-maschera sul Totò-personaggio (con tanti saluti alla solfa del “peccato che non l’hanno utilizzato i big del cinema d’autore”) ecc. E a leggere qua e là non mancano di risuonare i soliti abborracciati j’accuse ai critici che l’avrebbero tutti demolito o la riproposizione della forzata assimilazione dell’anarchico, irredimibile e famelico burattino al bouquet di bontà, umanità, sorridente tenerezza, correttezza politica e santa povertà presunto patrimonio degli Scarpetta, Eduardo, Troisi, De Sica, Sofia (ed è già tanto che non ci mettano dentro anche Maradona, Pino Daniele e chi più ne ha più ne metta…).

Nessuno può indicare la strada giusta per far sì che l’attuale sensazione d’orgoglio e felicità non si disperda e la liturgia celebrativa non divori se stessa, però è lecito sperare che i toni stentorei si abbassino e invece s’affermino iniziative di lunga durata e incisiva profondità. Forse non è il caso di flirtare con la curiosa idea di corsi universitari dedicati alla poetica totoesca o di coltivare la tentazione d’istituire l’ennesimo e inutile premio alla memoria. L’utopia sarebbe quella di potere rivivere la caccia a “TotòTarzan” o “Che fine ha fatto Totò Baby? nei cinemini di periferia; ma rendendoci conto che la nostalgia è un lusso non adatto ai tempi, ci basterebbe potere rivedere quei film strappati al martirio della fricassea televisiva, restaurati nella forma originaria e programmati a intervalli regolari in una sala dedicata come succede sotto il cinéfilo cielo di Parigi.

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