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Pubblicato il 5 Luglio 2016 | da Valerio Caprara

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Sophia e i luoghi napoletani della filmografia

Se un incalcolabile numero di film hanno disegnato la mappa della storia e della geografia di Napoli, non sono moltissimi i grandi personaggi del cinema che ne tramandano lo spirito più autentico. Come ha sostenuto Raffaele La Capria, del resto, una linea che ha l’andatura del fiume carsico (ora scorre placida, ora s’inabissa sotto terra, ora riemerge tumultuosamente) marca da sempre il labile confine tra napoletanità e napoletaneria, cioè tra nobiltà e intelligenza di pensiero, esuberanza d’animo, arguto scetticismo popolare e sguaiatezza faziosa, ribellismo stereotipato, campanilismo d’accatto. Così Sophia, nutrita grazie ai vulcanici bollori puteolani delle mitografiche energie della città, costituisce uno dei più potenti antidoti alle sue cicliche retromarce. Attrice internazionale, ha infatti saputo integrare –grazie anche alla caratura degli sceneggiatori e dei registi- molti dei suoi migliori personaggi nei set napoletani, mettendo in grado i luoghi topografici –come è riuscito a fare Woody Allen con New York- di diventare precipuamente cinematografici in quanto profondamente veristici e viceversa.

Il periplo ad personam –che rientrerebbe benissimo nei benemeriti programmi del “Campania Movietour”- inizia con la formosa quanto anonima Sofia Scicolone che i credit identificano a stento come una popolana alla festa di Piedigrotta nel melodrammatico “Il voto” di Bonnard del ’50; però è già Sophia la figlia del cuoco arricchito subissato Totò ed Enzo Turco in “Miseria e nobiltà” che presenta le sue curve irresistibili tra le scenografie teatrali di una Napoli reinventata nel contrasto tra i suoi bassi e i suoi palazzi. Abbagliante poco dopo il suo cammeo nel musical di Giannini “Carosello napoletano” (’54) in cui interpreta l’ex ragazza acqua e sapone Sisina che, tra uno studio fotografico retrò e un treno che porta i coscritti in guerra, intraprende controvoglia l’ambigua carriera di starlette. Anche le guide meno cinefile, a questo punto, non dovrebbero far mancare ai turisti il pellegrinaggio al quartiere Materdei, dove la fedigrafa di “Pizze a credito” (“L’oro di Napoli” è del ’54 e dunque l’emergente diva è appena ventenne!) discende ancheggiando Salita Porteria San Raffaele inseguita dal corpulento e cornuto coniuge Giacomo Furia. Spingendosi a Sorrento e passeggiando tra via Sopra le Mura e il borgo di Marina Grande, non dovrebbe essere difficile evocare le sinuose movenze della pescivendola Smargiassa che fanno perdere la testa al maresciallo Carotenuto/De Sica in “Pane, amore e…” del giovane Dino Risi. Per quanto riguarda Capri, invece, l’esuberante zia Lucia è capace addirittura di conquistare il divo Gable sballottato tra le locations urbane della vecchia stazione di Piazza Garibaldi e via Sant’Antonio Abate a San Lorenzo e il suo appartamentino arrampicato sul lungomare di Marina Grande (“La baia di Napoli”, ’60). Non esitiamo, poi, a definire storici (nel senso illusionistico proprio della fiction) il pittoresco basso di via Cagnazzi della Sanità, i gradini Piazzi ai Miracoli che portano al Moiariello e i rapidi scorci della cupola di San Severo alla Sanità e della chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci dove la contrabbandiera “Adelina” del desichiano e oscarizzato “Ieri, oggi e domani” mette in atto la realistica e grottesca messinscena di sfornare figli a ripetizione per non essere arrestata.

Un cult-movie napoletano per eccellenza è anche “Matrimonio all’italiana”, tratto nel ‘64 dalla “Filumena Marturano” di Eduardo, grazie a cui una delle Loren “più grandi della vita” riempie di suspense umanistica gli andirivieni della protagonista tra Piazza Bellini con lo fondo del complesso di Sant’Antoniello a Port’Alba, il Palazzo Pandola e l’obelisco di piazza del Gesù e lo spazio, allora desolato, di fronte alla parrocchia dello Spirito Santo Nostra Signora di Fatima a Fuorigrotta. In “Questi fantasmi”, aggiornato maldestramente da Ponti e Castellani nel ‘67, nella parte della moglie risentita del meschino Pasquale Lojacono Sophia aiuta a riconoscere l’ospedale di San Gennaro ai Poveri, il palazzo della Cavallerizza a Chiaia e la rotonda del capo di Posillipo da cui si scorge il suggestivo (!) skyline dell’Italsider. Meno pertinente sul piano della toponomastica, “C’era una volta…” di Rosi permette all’avvenente contadina Sophia/Isabella concupita dal principe d’Avalos interpretato dal sex-symbol (nonché accanito corteggiatore) Omar Sharif di valorizzare varie locations campane e principalmente la magnifica Certosa di Padula. Nel poco riuscito “Il viaggio” di uno stanco De Sica ispirato da una novella pirandelliana, la malata Adriana, accompagnata dall’innamorato conte Cesare/Burton, attraversa la Galleria Umberto I. Sempre entusiasta, nonostante le ingiuste traversie tributarie, di tornare a lavorare nel suo set d’elezione, Sophia incarna volentieri il personaggio di Aurora con figlio cieco al seguito nello strappalacrime “Qualcosa di biondo” (’84), in cui è quantomeno possibile vedere con un pizzico di nostalgia l’ex base Nato di Bagnoli. Così come, più recentemente, è successo per “Voce umana” diretto dal figlio Edoardo, quasi una romanza nostalgica fortemente voluta dall’attrice soprattutto perché in qualche modo “garantita” dalle immagini poeticamente retrodatate del Palazzo Reale, il Palazzo dello Spagnuolo, il quartiere di San Ferdinando e via della Solitaria a pochi passi dal Pallonetto Santa Lucia. La sua Pozzuoli rivive invece nel tv-movie per Canale 5 “Sabato, domenica e lunedì” (1990) della Wertmuller, ma le atmosfere dell’interno piccoloborghese anni Trenta volute dal cosceneggiatore La Capria riescono a trasferirsi nell’immaginario collettivo quasi solo grazie all’incredibile talento dello scenografo Enrico Job.

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