Recensioni no image

Pubblicato il 25 Novembre 2010 | da Valerio Caprara

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 Precious

Ad Harlem, New York, alla fine degli anni Ottanta, vive, se così si può dire, la diciassettenne Precious Jones, arcigna ragazza nera di 170 chili di stazza: il padre ne ha abusato da quando aveva tre anni, dallo stesso orco a dodici anni ha avuto una figlia affetta dalla sindrome di down e quando il film inizia è stata nuovamente messa incinta; dislessica e analfabeta, deve vedersela con una madre sempre stravaccata con la sigaretta in bocca che la insulta sanguinosamente, le tira addosso suppellettili e la odia a morte perché gelosa del così adorabile consorte. L’inqualificabile “famiglia”, inoltre, tira avanti grazie al sussidio di povertà in una cupa stamberga, dove dell’incestuoso stupratore s’intravede solo un panzone sudaticcio, il televisore è sempre acceso e il pranzo è costituito da unti e bisunti soffritti. Tratto dal romanzo “Push” (in Italia intitolato “Precious” e pubblicato da Fandango Libri) della poetessa nera Sapphire, autorevole membro della United Lesbian of Color e della conventicola radical chic Slam Poetry, il film ha vinto non certo a sorpresa il puro & duro Sundance Festival e sull’abbrivio ha fatto guadagnare numerose nominations e due Oscar alla migliore attrice non protagonista Mo’nique e la migliore sceneggiatura non originale di Geoffrey Fletcher.

Purtroppo, a costo di passare per cuori di pietra, ci si può accorgere senza eccessiva sottigliezza critica come la trasposizione firmata dal produttore e regista afroamericano Lee Daniels non renda onore alla nobile testimonianza socio-romanzesca. Fatta salva l’indiscussa bravura della mastodontica esordiente Gabourey Sidibe proveniente dal teatro, infatti, il tono e lo stile della parabola risultano pesanti e manieristici, mai incisivi e profondi neppure quando la descrizione della brutalità, dell’ignoranza e della violenza dilaga a tutto schermo (se si eccettua, forse, la scena madre finale che contrappone la mamma-strega in turbante e colletto di pelliccia alla povera protagonista). Anche perché lo svolgimento dei fatti non lesina perfide beffe: una volta ammessa, dopo mille angherie subite dai compagni e un’umiliante espulsione, ai corsi di una scuola alternativa, Precious scopre inattese chance di salvezza nelle fervide e disinteressate attenzioni dedicatale da una professoressa bellissima, buonissima e politicamente correttissima (e quindi, naturalmente, gay). Riuscita nel miracolo d’imparare a leggere e scrivere, eccola peraltro costretta a subire ulteriori uppercut dal destino cinico e baro. Per quanto le lacrime a fiumi, la disperazione inconsolabile, le atmosfere sature d’odio e la malvagità senza se e senza ma occupino un posto importante nella storia dell’opera lirica, della letteratura e del melodramma cinematografico, c’è un limite oltre il quale i conti artistici non tornano. Come ha sostenuto più volte nel suo stile brillante e provocatorio Alberto Arbasino, le “appagate nefandezze” tendono spesso a blandire la morbosità del pubblico e più ancora il piacere sadomasochistico di autori decadenti e furbissimi, finendo per trasformarsi paradossalmente in stereotipi che scaricano la coscienza. Il massimo rispetto, per carità, va alla feroce volontà d’auto-determinazione dell’eroina. Ma non sarà un caso che la bruttezza, l’abiezione, la malattia, diciamo pure la sfiga cosmica a cui pagano un prezzo indicibile i personaggi cattivi vengano didascalicamente “riequilibrate” dall’esemplare soavità di quelli buoni (Lenny Kravitz l’infermiere angelo custode e Mariah Carey la psicologa comprensiva) oppure da apostrofi audiovisive pacchiane come un volo di colombi o un liberatorio coro di gospel.

PRECIOUS

REGIA: LEE DANIELS

CON: GABOUREY SIDIBE, MO’NIQUE, PAULA PATTON, SHERRI SHEPHERD

DRAMMATICO – USA 2009

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