Recensioni

Pubblicato il 16 Giugno 2021 | da Valerio Caprara

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OMICIDIO A EASTTOWN/SECURITY

Un’anonima città della provincia americana. Una ragazza scomparsa e mai cercata seriamente dalla polizia. Un’altra misteriosamente assassinata. Il caso affidato a una detective dalla vita disastrata. Molti labili indizi, vicoli ciechi e false piste. Ma non l’avevamo già visto? Non si può dire, in effetti, che “Omicidio a Easttown”, la serie tv in sette episodi prodotta da HBO e trasmessa in Italia su Sky Atlantic vanti i crismi dell’originalità: tenendo conto anche del fatto che dopo il magnifico exploit nel 1991 di “I segreti di Twin Peaks” una marea di succedanei si è accumulata lasciando emergere non più di una mezza dozzina di epigoni degni del prototipo. Se comunque questa storia tra il poliziesco e il noir creata e scritta da Brad Ingelsby e diretta da Craig Zobel riuscirà a distinguersi, il merito maggiore andrà senza dubbio a KateWinslet che, oltre a cesellare il ritratto della protagonista (pare che abbia imparato a esprimersi con l’inflessione locale e a impugnare per la prima volta in carriera una pistola), vi ha anche assunto il ruolo di produttrice esecutiva: la buona resa del puzzle si basa, infatti, sullo sviluppo in parallelo della caccia all’assassino e dell’emersione dei traumi incisi nell’anima e nel fisico dell’aspra e tosta Mare (il nome della protagonista citato dal più congruo titolo originale “Mare of Easttown”). Per ora possiamo giudicare soltanto le prime due puntate andate in onda l’altro ieri sera: lentissima e sminuzzata in diramazioni non sempre incalzanti la prima, decisamente migliore e più avvincente la seconda. Fatte salve le evidenti somiglianze –certi passaggi ricordano un po’ troppo situazioni del capodopera “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” con Frances McDormand-, se ne possono ricavare lusinghiere aspettative per quanto riguarda la sobrietà della regia disinteressata a qualsiasi tipo di virtuosismo inutile, la messa a fuoco degli ambienti in cui si muovono le pedine della suspense e i dialoghi asciutti e centrati nonché animati da ricorrenti stilettate sarcastiche. Le recitazioni, peraltro, costituiscono senz’ombra di dubbio le fondamenta per il pacchetto di sorprese, equivoci, colpi di testa individuali e sindromi isteriche collettive che è destinato a dischiudersi mano a mano che l’indomita Winslet – ridicolmente beatificata perché avrebbe imposto al regista di non occultare le imperfezioni del proprio corpo di quarantacinquenne tre volte madre (scelta che, invece, serve ovviamente a conferire credibilità al personaggio) – procederà nell’implacabile caccia ai demoni collettivi e a quelli personali.

Davvero imbarazzante, invece, “Security”, il nuovo film Sky Original diretto da Peter Chelsom e ispirato all’omonimo romanzo di Stephen Amidon, lo stesso autore di “Il capitale umano” da cui Virzì trasse nel 2014 un’ottima versione per lo schermo. Fatto sta che anche quest’altro giallo, per così dire, societario si sviluppa a partire da uno spunto stimolante che, però, frana progressivamente a causa della sceneggiatura sconnessa e dell’inadeguatezza della maggioranza del cast. Il quarantenne Santini (D’Amore) funge, in effetti, da fulcro di una torbida storia di sesso, violenza e prevaricazioni classiste che si materializza nell’inverno di Forte dei Marmi; quando, cioè, alle allegre invasioni vacanziere (sperando che oggi la circostanza non sembri un amarcord) si sostituiscono silenzi e solitudini e il sofisticato sistema di telecamere gestito dall’atticciato e un po’ spaesato protagonista dovrebbe garantire la privacy dei privilegiati asserragliati nelle ville. Basta però il caso irrisolto di un’adolescente di buona famiglia trovata di notte tumefatta e alterata per scatenare la psicosi che ostacolerà non poco le indagini sia dei carabinieri, sia dello stesso Santini coinvolto perché nei foschi contorni c’entra in qualche modo il figlio dell’amante. Lasciando perdere la banale gomitata politica sull’uso distorto dell’aspirazione dei cittadini di vivere in pace e sicurezza, sono i dialoghi forzati e mal recitati (del cast si salvano solo i “cattivi” Bentivoglio e Ragno), i passaggi narrativi scansionati con l’accetta e il contorno di sottotrame involute e confusionarie a confezionare un prodotto troppo scarso per potere distinguersi nel calderone del genere più longevo e frequentato.

 

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