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Pubblicato il 22 Dicembre 2016 | da Valerio Caprara

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Michèle Morgan

Michèle Morgan Valerio Caprara

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Le generazioni di critici precedenti quelle attualmente in carica avrebbero certo espresso una partecipazione più intensa. La silhouette morbida e sensuale e l’espressione malinconica illuminata dai magnetici occhi chiari della protagonista dei cult movie “Il porto delle nebbie”, “Tempesta” o “La sinfonia pastorale” rappresentarono a lungo, infatti, la quintessenza del realismo poetico che contrassegnò il divismo d’oltralpe nel periodo tra l’inizio e la fine del secondo conflitto mondiale. Simone Renée Roussel, da sempre nota come Michèle Morgan, è scomparsa ieri a Parigi, ma il “suo” cinema aveva cominciato a morire già alla fine dei Cinquanta, quando fu aggredito senza remore dalla banda dei cinéfili Godard, Truffaut & company destinati a diventare i capofila della Nouvelle Vague. Nata a Neuilly-sur-Seine nel 1920, aveva studiato recitazione alla scuola del mitico René Simon ed esordito a quindici anni in qualche commedia di scarsa rilevanza, ma il film che l’innalza al rango di star è il melodramma “Delirio” di Allégret in cui vive nel ruolo di studentessa diciottenne un amore ad alta intensità erotica con il maturo e sposato Charles Boyer.

Ancora più carismatico diventa il suo fascino nel successivo “Il porto delle nebbie”, il primo frutto del sodalizio Prévert-Carné-Gabin dove interpreta senza alcuna forzatura la protagonista dallo sguardo seminascosto sotto il basco e le mani strette nelle tasche del trench costretta ad arrendersi alla violenza del destino. Il successo travolgente di questo film retorico con classe l’induce a replicare più volte il cliché in titoli meno riusciti come “La legge del nord” (’39) di Feyder, “Tempesta” (’40) di Grémillon e quelli girati in America, Inghilterra o Italia con le pur prestigiose regie di Stevenson, Curtiz, Reed e Blasetti (“Fabiola”, ’49). Tornata definitivamente in patria, gira un numero incredibile di film nei quali l’ottimo e il buono s’alternano alla routine: un magma di pellicola da cui si possono estrarre “I sette peccati capitali” di Autant-Lara, “Le grandi manovre” di Carné, “Landru” di Chabrol o “Un uomo, una donna oggi” di Lelouch, ma anche “Il fornaretto di Venezia” di Tessari e “Stanno tutti bene” di Tornatore. Nonostante, peraltro, la devozione del pubblico e il rispetto delle istituzioni (testimoniato da una sfilza di Legion d’onore), il segreto dell’attrice resterà per sempre quello rivelato dal titolo della sua autobiografia: “Avec ces yeux-là”.

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