Recensioni

Pubblicato il 29 Marzo 2016 | da Valerio Caprara

0

Land of Mine – Sotto la sabbia

Land of Mine – Sotto la sabbia Valerio Caprara
Soggetto
Regia
Attori
Emozioni/riflessioni

Sommario: Maggio1945, la Germania e Hitler hanno appena perso la guerra. Giovanissimi soldati tedeschi deportati in Danimarca sono alla mercé degli ex oppressi, ma lo spietato sergente Rassmussen dovrà confrontarsi con la sua nuova condizione di oppressore.

3.8


Sulla seconda guerra mondiale il cinema si è abbondantemente espresso e non di rado con titoli da cineteca. Colpisce doppiamente in quest’ottica Land of Mine – Sotto la sabbia, presentato l’anno scorso al festival di Roma e appena uscito in sala senza doping promozionale, che non solo riesce a tornare sull’argomento in maniera innovativa, ma lo fa con un taglio eccezionale perché classico e insieme attuale. Il regista danese Martin Zandvliet, sicuramente destinato alle grandi produzioni straniere, vi affronta una vicenda reale a cui il proprio paese e l’opinione pubblica internazionale non s’erano mai interessate e ne trae un film asciutto, antiretorico, equanime e doloroso su un piano etico universale. Il momento storico prescelto è, in effetti, particolare: nel maggio del ’45 la Germania ha capitolato e gli alleati hanno catturato frotte di nemici dell’ultima leva, soldatini inconsapevoli e non addestrati buttati nel carnaio bellico per disperazione dall’agonizzante regime. Quelli presenti in suolo danese vengono deportati e costretti, a dispetto della Convenzione di Ginevra, a rimuovere il maggior numero possibile dei due milioni di mine sepolte proprio dagli occupanti hitleriani nelle spiagge delle coste da dove temevano (sbagliando) che sarebbero sbarcati gli angloamericani.

Land of Mine sa attivare la massima suspense sulla sorte dei ragazzini che ancora invocano la mamma nelle acmi del terrore innanzitutto perché centra appieno il profilo del personaggio-guida, lo spietato sergente Rassmussen capo delle operazioni (Roland Moller degno delle icone hollywoodiane del war-movie), ma poi perché fa sottilmente affiorare il quesito sulla liceità d’usare nei confronti degli ex oppressori vinti le stesse disumanità che si erano subite nella condizione di oppressi. Escludendo il finale comprensibilmente conciliatorio, siamo al cospetto di una regia attenta sia all’inquadratura che al “fuori campo” psicologico, onesto e non ricattatorio nei confronti dello spettatore anche quando sottolinea il contrasto tra gli atroci eventi e il nitore panico di fondali e colori, eloquente nelle pause silenziose come in quelle esaltate dalla colonna sonora, a momenti insostenibile sul piano della tensione (come nel capodopera The Hurt Locker della Bigelow) eppure sempre improntato a una pietas che non ha nulla a che fare con i consueti e ipocriti cerchiobottismi.

Condividi su
Share

Tags: , , , , ,




Torna su ↑
  • Old Movies Project

    Old Movies Project
  • Film Commission

    Film Commission
  • Archivi

  • Facebook

  • Ultimi Video – Five – Fanpage

  • Ultimi Tweet

  • Link amici