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Pubblicato il 21 Luglio 2016 | da Valerio Caprara

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La scomparsa di Garry Marshall

Magari qualcuno lo identifica solo come il creatore di “Happy Days” e il regista di “Pretty Woman”. Hai detto niente… Garry Marshall, morto ieri a Los Angeles a causa delle complicazioni seguite a un ictus, con la sitcom tv ideata, prodotta e andata in onda dal 1974 all’84 (in Italia dal ’77) ha immortalato l’età d’oro della middle class americana e con il film del ’90 con la Roberts e Gere realizzato una rielaborazione del mito di Cenerentola in sintonia con lo spirito del tempo e in anticipo su quello seguente. Riflettendo su come la fabbrica dell’immaginario sia oggi incalzata dalla concorrenza delle serie tv ad ampio budget e alto tasso creativo, ci si rende conto ancora meglio dell’importanza del suo percorso professionale: prima narratore infallibile del perduto idealismo provinciale con i ritmi minimalistici e insinuanti dell’intrattenimento domestico a puntate; poi, al momento di lanciare la riscossa del modello universale hollywoodiano, pienamente a suo agio nel ruolo di regista classico, audace, cinico, brillante come lo erano stati i maestri del passato.

Nato il 13 novembre 1934 a New York City da un padre figlio d’immigrati italiani abruzzesi (il cognome originale era Masciarelli) e una madre insegnante di danza, il futuro regista e sceneggiatore si diploma alla scuola di giornalismo della Northwestern University e inizia a lavorare prima come fattorino e poi cronista sportivo al “Daily News”. Dopo essere stato il batterista di una jazz band e autore testi per affermati performer come Joey Bishop e Phil Foster, a metà degli anni Sessanta si specializza nelle produzioni televisive contribuendo a vario titolo a celebri programmi come “Jack Parr Show”, “The Danny Thomas Hour” e “The Dick Van Dyke Show”. Diventato produttore in prima persona crea “Hey, Landlord” per la Nbc, adatta per il piccolo schermo la celebre commedia teatrale “La strana coppia” e nel ’69 lavora all’antologia comica “Love, American Style” che raggruppa vari episodi: proprio da uno di questi, “Love and the Happy Days”, hanno origine sia la serie diventata di culto grazie alle interpretazioni di Ron Howard e Henry Winkler (Fonzie) e agli hit (veri inni generazionali) “Happy Days” e “Rock Around the Clock”, sia gli spin-off di successo “Laverne & Shirley”, “Mork & Mindy” e “Jenny e Chachi”. Sposato felicemente dal ’63 con Barbara e padre di tre figli, nonché attore brillante di lungo corso e guest-star in remake e revival, esordisce come regista nell’82 con “L’ospedale più pazzo del mondo” seguito da titoli non memorabili come “Flamingo Kid” o “Una coppia alla deriva”: “Pretty Woman”, però, cambia il suo status per sempre perché, oltre a essere un “feel good movie” per eccellenza (i film che ti fanno sentire in armonia con i migliori sentimenti), lo tramanda come pigmalione di una delle coppie al top del glamour divistico. Non risultano altrettanto validi i film successivi (fatto salvo “Paura d’amare”, duetto amoroso fra Pacino e Pfeiffer rafforzato da una straordinaria adesione ai problemi della gente comune) che ha continuato a firmare sino al recente “Mother’s Day” con la Aniston e la Roberts: ottimo nel dirigere o addirittura lanciare colleghi –dall’adorata Julie Andrews e il fedelissimo Hector Elizondo (il concierge di “Pretty Woman”) sino alla Anne Hathaway di “Pretty Princess” e “Principe azzurro cercasi”- Marshall è stato soprattutto un abile orchestratore dei ritmi e i dialoghi di racconti corali, forniti di un’ironia di fondo non troppo soverchiata dalle confezioni tendenti al rosa confetto esistenziale. D’altra parte non era affatto scontato il modo in cui lo showbiz sta rendendogli omaggio nell’ora della dipartita: Winkler ha scritto su Twitter che lo ringrazia “per la lealtà, l’amicizia e la generosità”; mentre Gere ha dichiarato che “incontrarlo è stata una benedizione… E’ stato un uomo fantastico che tutti amavano, un mentore e una delle persone più divertenti che abbia mai incontrato. Aveva un cuore di oro puro e un’anima da monello”. Un’epigrafe degna di cineasti ben più accreditati e consacrati.

 

 

 

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