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Pubblicato il 21 Aprile 2020 | da Valerio Caprara

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La scomparsa di Sergio Fantoni

Se si considera il teatro, viene subito in mente tra gli attori più carismatici della seconda metà del Novecento. Se si pensa alla tv, i suoi personaggi restano indelebili almeno per una generazione di telespettatori. Se credessimo che il cinema con lui non c’entra, ci sono decine di titoli che lo tramandano alle prese con i generi più diversi e i registi più autorevoli, senza contare i doppiaggi della voce di Brando in “Apocalypse Now” o di Kinski in “Aguirre, furore di Dio”. Scomparso l’altra sera a quasi novant’anni (che avrebbe compiuto ad agosto), Sergio Fantoni non è stato soltanto un bravo attore, bensì l’ideale testimonial di una scuola italiana basata sulla versatilità, l’affidabilità, il coraggio e la qualità. Nato a Roma nel 1930 da una coppia di teatranti, inizia a frequentare le facoltà d’ingegneria e architettura, ma il casuale incontro con Gassman è la scintilla che ne libera la vocazione: allo start dei 50 esordisce sullo schermo grazie a particine in film avventurosi e poi a teatro nella compagnia del Teatro dell’Arte diretta proprio dal mentore Vittorio e da Squarzina. Nel corso del decennio si afferma, così, come uno dei giovani attori più dotati e di maggiore presenza, distinguendosi in allestimenti prestigiosi di Visconti (che gli affida il ruolo di Giasone in “Medea”), Strehler e Morelli-Stoppa (“Uno sguardo dal ponte”).

Il cinema, peraltro, insiste a offrirgli ingaggi per sfruttarne l’aspetto fisico facendo sì che la sua figura prestante entri a fare parte dell’immaginario nazionale sia grazie ai ruoli da feuilleton (“Io sono la primula rossa”, “La battaglia di Maratona”, “Ester e il re”), sia a quelli storico-didattici (“Era notte a Roma”, “Viva l’Italia” di Rossellini), sia a quelli più ambigui, contraddittori e persino detestabili (“I delfini”, “Il sicario”, “Tiro al piccione”). Il piccolo schermo, contemporaneamente, ne porta al diapason la popolarità scoprendolo a suo perfetto agio in alcuni degli sceneggiati diventati subito di culto, tra cui “Ottocento” (1959) diretto da Anton Giulio Majano in cui è il bel tenebroso Costantino Nigra combattuto tra l’amore e la ragion di stato. Quasi inevitabilmente arriva a questo punto la chiamata a Hollywood, dove partecipa senza brillare a produzioni ambiziose ma alquanto convenzionali come “Intrigo a Stoccolma” e “Papà, ma che cosa hai fatto in guerra?” che lo convincono a rientrare in Italia e riprendere la carriera teatrale. Antitetico agli inveterati vizi dell’enfasi melodrammatica, Fantoni cesella nel suo stile sobrio e rigoroso interpretazioni memorabili sotto la guida, tra gli altri, di Ronconi, Visconti, Puecher, De Lullo, Strehler dopo avere fondato anche una compagnia (“Gli Associati”) insieme alla moglie Valentina Fortunato (scomparsa un anno fa) e Ivo Garrani. L’elenco interminabile delle sue interpretazioni (“Otello”, “Caligola” di Camus, “Strano interludio” di O’Neill, il “Lorenzaccio” di de Musset di cui è anche il regista, “Zio Vanja”, “La tempesta”, “Tre sorelle” ecc.) si arricchisce anche delle sperimentazioni anti-naturalistiche del proprio gruppo “Contemporanea 83”, specializzato nel mettere in scena le nuove aridità sociali e nevrosi esistenzialistiche. Al cinema è all’altezza del passato nel cast di “Il ventre dell’architetto” di Greenaway e “Ti presento un’amica” di Massaro, ma a ribadire il suo mai compiaciuto talento saranno ancora una volta le performance televisive in “Lungo il fiume e sull’acqua”, “Anna Karenina”, “Alcide De Gasperi” e soprattutto nell’avvincente miniserie storica “Delitto di stato” (1982) di De Bosio in cui si esibisce, potendoselo ancora permettere, nel primo nudo maschile frontale apparso sui nostri pudibondi teleschermi.     

 

 

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