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Pubblicato il 8 Dicembre 2020 | da Valerio Caprara

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Intervista a Carlo Verdone settantenne

Buongiorno Carlo, auguri per i tuoi settant’anni che… “Sì grazie, grazie tante. Ho dovuto affidare a una collaboratrice la gestione della marea d’interviste che mi stanno chiedendo da giorni, però sono molto preoccupato, mi sono fatto una decina di tamponi, il cinquanta per cento dei miei amici s’è infettato e ti confesso che secondo me il contagio è molto più alto di quello che ci dicono e un italiano su sei il virus se lo becca o se l’è beccato”. Cominciamo bene, altro che festeggiamenti e battute. Però non puoi negare che ti sta investendo un sentimento d’affetto e stima universali con rari precedenti nel settore. “Tanto da sentirmi quasi intimidito e dubbioso di averlo meritato. Quando talvolta riesco a esserne felice, penso che la ragione consista nel mio stare con un piede di là e uno di qua; cioè, per essere più chiaro, gradito a chi mi considera l’ultimo anello della generazione dei Sordi, Leone, Scola, Fellini, Tognazzi, Gassman, Rossellini – tutti maestri con cui peraltro ho lavorato- e nello stesso tempo uno dei registi e attori che percepirono e interpretarono la voglia di cambiamento nella società, il mestiere e le sensibilità individuali”. Bei tempi, quando tu, Nuti, Troisi, Benigni facevate a gara nell’alternarvi sul podio del box office. “Per i produttori dell’epoca noi ‘malincomici’ eravamo le galline dalle uova d’oro e non è campato in aria sospettare che per trarne vantaggio ci mettevano sotto sotto l’uno contro l’altro. Mai provata invidia, però! Addirittura quando uno dei miei film andava bene o benissimo non saltavo di gioia, non mi lasciavo andare all’euforia, bensì mi mettevo subito a pensare al successivo impegno come a un’altra battaglia da affrontare e possibilmente vincere. In alcuni casi, poi, diventavo il primo fan del film e dell’amico-rivale: per esempio rimasi incantato da “Ricomincio da tre” e mi convinsi su due piedi che da un alieno come Troisi si poteva solo imparare”. Dunque se non fossimo tutti sotto la minaccia del virus, potresti crogiolarti nella gloria. “In gran parte sì, ma c’è la vita che pretende i suoi prezzi da pagare ed è scontato che da quando nel 1977 il primo spettatore pagò un biglietto per vedermi esibire all’Alberichino, abbia subito e continui a subire limitazioni e contraccolpi non da poco. Non vorrei sembrare megalomane, ma per me la professione equivale a una missione e impegnarsi come faccio io da 43 anni filati affinché il pubblico ti apprezzi e dia fiducia non è un optional bensì un dovere. Io ci credo, del resto, a quello che una volta mi disse una signora incontrata per la strada: voi comici fate bene alla salute, siete un antidepressivo senza rischio di effetti collaterali”. Tornando all’odierna ricorrenza del settantesimo compleanno, una personalità vulcanica come la tua come sta reagendo all’incubo della segregazione? “Ho scritto un libro autobiografico tratto da una massa accatastata di lettere, agendine, oggetti conservati per ricordo, foglietti sparsi e fotografie che via via si trasformano in una serie di storie autonome, nonché preparato per Amazon una serie tv in dieci puntate dallo stesso tono a metà realistico e a metà reinventato che dovremmo cominciare a girare a fine marzo dell’anno prossimo. Però, essendo molto rigoroso nell’essere responsabile e osservare le regole, vedo pochissimo anche i miei figli di cui sono sempre più orgoglioso e il piacere che traevo dai soggiorni nella casa di campagna in Sabina adesso vado a cercarmelo nella fotografia, la musica o i documentari di Sky Arte”. A questo proposito ti secca parlare delle sorti ancora in bilico di “Si vive una volta sola”, bloccato quasi un anno fa alla vigilia dell’uscita? “Da una parte uscendo in streaming, il film sarebbe visto da moltissimi spettatori e non rischierebbe l’inevitabile obsolescenza; dall’altra io e De Laurentiis siamo capetoste, nostalgici, chiamateci come volete, ma continuiamo a preferire il ‘tempio dell’immagine’, a credere che il pubblico tornerà più di prima nelle sale e quindi a fare il possibile perché riesca un giorno a esordire nel suo contesto naturale”. Ormai sono un paio le generazioni di spettatori che officiano il culto dei tuoi inizi, ma a te piace rivederti quando i tuoi film passano in tv? “Solo se c’è qualcuno insieme a me con cui condividere il divertimento o cogliere il dettaglio di una posa, uno sfondo, una battuta. Se sto da solo no, mai, la voglia nun me parte…”. Ma se stai chiuso in casa, come fai a esercitare la tua famosa abilità nello studiare e riprodurre in uno specchio deformante le fisime e le maschere dell’umanità che ti circonda? “Ah no, su questo potete stare tranquilli. Durante il primo lockdown, per esempio, ho collezionato numerosi show nelle strade deserte di nudisti fuori di testa, tra cui uno che marciava a passo di carica su ponte Vittorio, un altro (maschio) che s’aggirava in reggiseno, mutandine e tacchi a spillo portando un cagnetto al guinzaglio e un altro ancora che alle cinque in punto di ogni pomeriggio s’affacciava a torso nudo a una finestra del centro storico intonando a squarciagola “L’italiano” di Cutugno, fino a quando un giorno dieci finestre circostanti si sono aperte di botto invitandolo con modi poco oxfordiani a smetterla e andare a fare….. Il migliore sketch naturale, però, l’ho vissuto manco a dirlo di persona e lo regalo in anteprima ai lettori di “Il Mattino”. Come ogni mattina tempo fa sono sceso al bar sottocasa per gustare in santa pace la mia colazione preferita. Quando ho finito e mi sono alzato, una signora seduta a distanza di sicurezza a un altro tavolino mi dice: signor Verdone, guardi che le è caduta a terra la mascherina. “Grazie, certo non dovrei, però me la rimetto perché è passato appena qualche secondo”. Nello stesso tempo entra un vecchietto tenendosi le mani a conchiglia sua naso e bocca per cercare di contenere una tosse insistente e catarrosa. Io lo rimprovero: ma che fa, è pazzo, si procuri una mascherina o non entri”. E lui: guardi che sono tornato a riprenderla perché mi è cascata a terra vicino a dove sta lei… Li mor…. Guardo nel casco della moto e subito ritrovo la mia mascherina dove l’avevo accuratamente riposta. Mi sono dovuto fare l’ennesimo tampone e su consiglio medico segregarmi un’altra volta in quarantena”.   

 

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