Recensioni

Pubblicato il 5 Maggio 2021 | da Valerio Caprara

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In the Mood for Love per il cinema. Nomadland e Minari per il cineclub di ieri, oggi e domani

Dell’iper oscarizzato “Nomadland” si è già parlato molto, s’accomodi chi gradisce il suo manierismo che non ha abbastanza storie per riempire due ore al contrario di quanto succedeva nei classici da cui ha attinto come “Furore” o “I dimenticati”. Gli assomiglia non poco, purtroppo, “Minari” che ha vinto una statuetta grazie all’interpretazione della non protagonista Yu-jung Youn, è uscito in molte delle sale riaperte al pubblico e da mercoledì prossimo sarà disponibile su Sky e in streaming su Now. Prodotto dalla Plan B di Brad Pitt (bello, bravo e anche progressista, che vogliamo chiedergli di più), il quarto lungometraggio del regista Lee Isaac Chung classe 1978, nato in una fattoria dell’Arizona da genitori sudcoreani, s’iscrive al genere della diversity dettato dalla nuova agenda sociopolitica degli Usa, circostanza di per sé encomiabile ma non sufficiente per evitare anche in questo caso lo sgradevole sentore degli ingredienti dosati a tavolino. Vi s’intona, in effetti, l’ennesimo de profundis del Sogno americano (espressione obsoleta perché in realtà nessuno la usa più se non per contestarla) attraverso le vicissitudini di una famiglia coreana trasferitasi in Arkansas per coltivare ortaggi autoctoni da vendere agli immigrati: il padre sogna di diventare fattore e nel frattempo si dedica di malavoglia ai pulcini, la madre consuma in segreto la disperazione, i figli invece si adattano alla casa piazzata su due ruote in mezzo al nulla, però il maschietto è sofferente di cuore e occorre che arrivi la nonna che pianterà i semi dell’erbetta piccante chiamata, appunto, “Minari” dispensatrice di proprietà taumaturgiche nella seconda stagione di crescita (capita la speranzosa metafora sul destino delle generazioni asian-american?). Divertenti i duetti animati dal caratteraccio della vecchietta, elegante la fotografia rurale, modesta la musica ancorché efficace nel supportare i momenti clou, adeguati gli attori, significative le apparizioni dei folli sperduti nella vastità edenica del paesaggio come quella del vagabondo che marcia con un crocifisso sulle spalle: preparate i fazzoletti oppure, a scelta, constatate che la compassione non è sinonimo di poesia né la la furbizia di emozione.

Considerando, peraltro, che nelle tristi condizioni in cui siamo costretti il bisogno di bellezza –in tutta l’ampiezza dei suoi significati- è indispensabile, la scelta giusta diventa, invece, quella di premiare il coraggioso tentativo della ripartenza in sala del capodopera “In the Mood for Love” restaurato in 4K e distribuito dalla Tucker Film (a Napoli al cinema Vittoria). A distanza di vent’anni dalla presentazione, ma sarebbe meglio dire folgorazione, avvenuta nel corso del festival di Cannes, l’abilità, l’intensità e la sensibilità di Wong Kar-wai, non solo non si sono pietrificate nell’ovvio culto cinefilo, ma rivelano ancora più chiaramente come l’allora capofila della nouvelle vague hongkonghese non si sia limitato a raccontare una sia pure raffinata love story, bensì sia riuscito a investigare sui più sfuggenti, inconfessabili, tortuosi segreti del rapporto d’amore tra un uomo e una donna. Le atmosfere nostalgiche e claustrofobiche della passione tra il giornalista Chow la segretaria Su, trasferitisi nel 1962 con le famiglie in due appartamenti attigui, saranno, infatti, vieppiù esaltate e in qualche modo eternizzate dalla scelta di non consumarla fisicamente per non condannarla agli stessi, volgari sotterfugi praticati dai rispettivi coniugi fedifraghi. Un filo sottilissimo ricamato in filigrana alle immagini grazie ai dettagli dei corpi, le mani, le sigarette tra le dita, il fruscio dei tradizionali abiti cinesi cheongsams indossati da Su e le sue pettinature cotonate, gli impeccabili completi di Chow, i commenti sospettosi degli altri inquilini riuniti al tavolo di mahjong sul pianerottolo o gli sguardi in tralice scambiati dai due quando s’incrociano tra gli angusti corridoi, sulle scale o nella strada. Nel melò dispiegato sulle note dell’evergreen di Nat King Cole la sublimazione del non diventare amanti anche se il desiderio è esplosivo e la complicità totale raggiunge, insomma, l’acme di un erotismo esclusivamente nelle corde degli autori che usano la macchina da presa come se fossero orafi cinematografici.

 

MINARI

DRAMMATICO – USA 2020 

Regia di Lee Isaac Chung. Con Steven Yeun, Ye-ri Han, Yuh-jung Youn, Alan S. Kim, Noel Kate Cho, Will Patton

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IN THE MOOD FOR LOVE  

DRAMMATICO – HONG KONG, CINA 2000

Regia di Wong Kar-wai. Con Maggie Cheung, Tony Leung, Ping Lam Siu, Rebecca Pan, Kelly Lai Chen

 

 

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