Recensioni

Pubblicato il 24 Dicembre 2019 | da Valerio Caprara

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GUIDA AI FILM DI NATALE

Tutti in attesa del Messia che per il cinema italiano ha le sembianze di Checco Zalone alias Luca Medici da Bari. L’attore e regista che osa sfidare con la sua satira a 360 gradi le guardie giurate dell’impegno farà uscire, infatti, “Tolo Tolo” nel pieno dell’ebbrezza dell’ultimo dell’anno sperando di trasformarla –come finora ha sempre fatto- in vantaggiosi conteggi al botteghino. Nel frattempo, esaurito il culto post-prandiale del cinepanettone, l’offerta s’attesta su un livello decoroso anche se non all’altezza dei capidopera che nell’ultimo trimestre hanno risollevato il morale di cinefili e pubblico (“C’era una volta a… Hollywood”, “Joker”, “Parasite”, “L’ufficiale e la spia”).

“Il primo Natale”. Ficarra e Picone ritornano all’espediente narrativo del viaggio a ritroso nel tempo e si ritrovano paracadutati come asini in mezzo ai suoni nella Galilea dei giorni dell’Avvento. Situazioni buffe e quiproquo fanciulleschi non bastano, nonostante il ricorso a qualche ruffiano messaggino attualistico, a dare la scossa a una favola garbata ma senza nerbo. Per chi ama ridacchiare. Voto: quattro.          

“Pinocchio”. Il film di un fuoriclasse come Matteo Garrone che riesce a sorreggere l’equilibrio tra una prima parte di tono veristico popolare e la seconda improntata al gusto esoterico-mostruoso del romanzo gotico, nonché a presentare un Benigni ligio al ruolo di Geppetto e con l’incontinenza istrionica sostituita da un’umana e scompigliata naiveté da poverocristo. Il fatidico romanzo di formazione recupera, così, nel sottotesto dello show visionario e immaginifico il portato di “conoscenza amara, crudele e senza luce della realtà” a suo tempo segnalato da una celebre lettura collodiana di Citati. Laico e asciutto nell’approccio e nei toni, il film riserva la sua ultima sorpresa nella conclusione che rispetta il climax della fiaba, ma fa anche trapelare la metafora cristiana del Miracolo Mariano. Per chi ama fantasticare. Voto: otto.

“Cena con delitto – Knives Out”. Agatha Christie trapiantata ai giorni nostri in un riuscito revival dei romanzi e film gialli incentrato sulla caccia all’assassino che ha fatto fuori un noto scrittore nella sua lussuosa magione popolata da parenti serpenti e altri personaggi infidi. Grande prova del Daniel Craig sottostimato erede del ruolo di James Bond che sfodera nel ruolo del detective un bouquet di sfumature del migliore black humour di matrice britannica e  conduce lo spettatore nei meandri dei possibili moventi inchiodando come un entomologo le “farfalle” di tipologie umane molto aggiornate e poco raccomandabili. Per chi ama investigare. Voto: sette.

“Last Christmas”. Una commedia romantica che non controlla il dosaggio dei suoi classici ingredienti. Con l’ulteriore handicap dello sconcerto che procurerà ai fans di “Il trono di spade” il protagonismo di Emilia Clarke, ex Madre dei Draghi riciclata nel ruolo di ex cantante che nella vita ha subito molti traumi nonché preso spesso decisioni errate. Afflitta dalla madre immigrata balcanica –ritrattino peraltro gustosamente cesellato dalla grande Emma Thompson coautrice di soggetto e sceneggiatura- la ragazza ha accettato controvoglia l’impiego come elfo di Natale in un grande magazzino, ma la sorte, agevolata dalle mille luci di una Londra iper glamour a dispetto di qualche adombramento Brexit, avrà nei suoi confronti un occhio di riguardo. Per chi ama rincuorarsi. Voto: cinque.

“Il mistero Henri Pick”. Giallo letterario atipico in cui non si cerca l’assassino, bensì l’autore segreto di un bestseller. Il cinema d’oltralpe si dimostra ancora una volta in grado di proporre commedie originali, spiritose, intelligenti, recitate come dio comanda e basate su una trama avvincente ed esente da predicozzi e/o ammonimenti. Ambientate sugli edenici sfondi di una cittadina bretone, le schermaglie tra l’ambiziosa editor che ha disseppellito un romanzo dimenticato nella locale “biblioteca dei manoscritti rifiutati” e l’altezzoso critico parigino che sente odore di truffa ed è disposto a tutto pur di smascherarla scorrono via con ritmo e verve adeguati sino all’intoppo di un finale abborracciato; ma è chiaro che l’immenso talento di Fabrice Luchini costituisce quel “di più” che alza di parecchio la qualità dell’intrattenimento. Per chi ama scremare le scelte. Voto: sette.

“La Dea Fortuna”. Apoteosi del repertorio “ozpetekiano” delle peripezie delle coppie omosex, le comunità multietniche e i condomini allargati mirato a far proseguire la cosiddetta smitizzazione della cosiddetta famiglia borghese. Nella Roma odierna va, infatti, in scena una gimkana tra commedia e pianto in cui le trappole e le disillusioni che punteggiano le comuni esistenze s’alternano in un teatrino non privo di verve e di ritmo, ma non per questo liberato dalle metafore forzate, le sottotrame pasteggiate, gli identikit plateali ai limiti del grottesco e l’ideologismo sessualmente corretto (cfr. le due figure materne: la mamma alternativa angelicata e la nonna “tradizionale” effigiata come la strega di Biancaneve). Per chi ama essere trendy. Voto: quattro.

“L’immortale”. Il ponte narrativo tra la quarta e la quinta stagione della serie “Gomorra” mira alla fusione del pubblico dei fan con quello a digiuno dell’epopea televisiva grazie all’idea del doppio racconto che fa procedere in alternanza di flashback le vicende di Ciro bambino nella Napoli del terremoto e quelle del camorrista detto “L’Immortale” esiliato in Lettonia. Il film si fa seguire per merito dell’impennata di ritmo ed emozioni che prende la rincorsa verso lo showdown finale: peccato, però, che per colpa dell’overdose di cipigli e mimiche auto-assegnate dal neoregista D’Amore al proprio personaggio la maniera faccia spesso capolino rendendo il nocciolo del reattore gomorriano meno radicale e innovativo. Per chi ama restare fedele al divano casalingo. Voto: sei.

“Star Wars – L’ascesa di Skywalker”. Si conclude con un affannoso ritorno alle origini “Star Wars” che ha segnato la formazione culturale degli attuali quaranta-cinquantenni (non solo) occidentali. Nono capitolo della saga, terzo film della terza trilogia pianificata dopo l’acquisizione nel 2012 da parte della Walt Disney della franchise targata Lucasfilm, il kolossal risente delle falle aperte nel deposito fantasy dai troppi e cervellotici ribaltamenti, non di rado provocati dalle indignazioni delle agguerrite legioni di fan. Le impressionanti scenografie e gli sbalorditivi effetti speciali gratificano l’ambizioso regista J. J. Abrams, ma il fatto che il momento più toccante sia quello dell’inevitabile uscita di scena del personaggio interpretato dalla defunta Carrie Fisher la dice lunga sul probabile impatto sulla generazione dei millennials. Per chi ama rimpiangere. Voto: sei.      

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