Recensioni

Pubblicato il 7 Luglio 2022 | da Valerio Caprara

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ELVIS

Parola di Keith Richards: “Prima di Elvis il mondo era in bianco e nero. Poi è arrivato ed ecco un grandioso technicolor”. Su questo assioma, va da sé, il parere del critico conta poco: non può che prenderne atto. Però sul fatto che dopo la precoce e drammatica morte il fenomeno sia proliferato all’inverosimile rendendo Presley un oggetto di culto, il cinema aveva ottime carte da giocare e in particolare ne aveva di quasi imbattibili Mark Anthony Luhrmann detto Baz. Il regista, sceneggiatore e produttore australiano grazie ai sei film più una serie tv diretti in trent’anni di carriera (tra cui i capidopera “Romeo+Giulietta” e “Moulin Rouge!”) si è, infatti, affermato come leader del cinema cosiddetto postmoderno in cui, cioè, i soggetti e le sceneggiature sono decontestualizzati e trasformati in melò e/o musical sfavillanti, fragorosi, forsennati e orgogliosamente kitsch. Figuriamoci come si è trovato a suo agio nel rievocare la vita del cantante venuto dal Tennessee e arrivato a sfrenare le folle americane e mondiali sull’onda dell’innato istinto (lo stesso che l’aveva portato da adolescente a frequentare e imitare i musicisti di colore), l’esibizionismo provocatorio e lo sfrontato appeal sessuale. Non è un caso, dunque, che l’incipit e l’intero prologo –un tourbillon d’inquadrature multiple, medley di canzoni, salti temporali- producano un’overdose d’adrenalina e facciano pregustare un’orgia audiovisiva all’altezza della leggenda del Re del rock’n roll. Inutile aggiungere che il camaleontismo di Butler costituisce il pezzo forte del film: impressionanti, in particolare, appaiono le performance in cui interpreta dal vivo gli hit del repertorio, anche affiancato da big come Eminem e i Måneskin che in questo modo omaggiano l’artista in grado di andare oltre i confini del tempo. Anche perché il suo incarnato stirato e levigato da statua di cera assomiglia a quello reale di Elvis, disarticolato nelle scosse del bacino e le gambe ma alquanto fisso nella fisionomia come dimostra la modesta qualità della folta e divertente filmografia.

Purtroppo, però, a dispetto del titolo diventa presto evidente che il vero protagonista (la voce narrante, l’antagonista, l’anima nera) del film è il colonnello Parker, l’impresario che non era colonnello, non si chiamava Parker e non era neppure americano che colse al volo le potenzialità di Elvis, lo manipolò a suo uso e consumo e lo serrò in una morsa affaristico-paternalistica sino alla fine. Curiosamente nelle due ore e quaranta di durata il protagonista sembra una sorta di spettatore di sé stesso: giocando forte sulla dicotomia arte/industria il regista finisce per insinuare che l’evoluzione, i tormenti, le distorsioni psicotiche della star siano state esclusivamente connesse al rapporto di dipendenza con il manager –interpretato da un Hanks in versione sfigurata e carognesca- sminuendo, così, altre e complesse componenti a cominciare dal rapporto con la moglie Priscilla (che, guarda caso, ha avuto un ruolo legale nel dare il via libera al progetto), con le turbolenze societarie americane e con la teoria troppo spiccia dell’”appropriazione” della cultura musicale afroamericana senza sottolineare come e quanto l’abbia assimilata mettendoci del suo. Sta qui il punto debole di un film esplosivo sul piano estetico, ma ambiguo per come propone soprattutto alle platee odierne un’interpretazione dell’impatto ottenuto da “Elvis the Pelvis” sullo showbiz dell’epoca. L’incertezza tra il punto di vista iconoclastico e quello tradizionalista si trascina dietro, in effetti, uno spiacevole dubbio: Luhrmann ha voluto raffigurarlo come un’operazione di marketing, un mito ridimensionato senza che ne risulti chiaro il perché oppure come la prima di tutte le rockstar che nonostante l’avidità e l’inettitudine di chi lo circondava (e circuiva) ha lasciato un segno indelebile spaziando dal classico rock al rhythm and blues, il country western, il gospel, la melodica e il pop? È vero che il finale propende per la seconda ipotesi, però resta il fatto che della genialità del compositore e del cantante il film tramanda solo la carismatica ipertrofia.

 

ELVIS

BIOGRAFICO-MUSICALE – AUSTRALIA/USA 2022   ***

Un film di Baz Luhrmann. Con Austin Butler, Tom Hanks, Olivia DeJonge, David Wenham, Kodi Smit-McPhee, Dacre Montgomery, Shonka Dukureh

 

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