Recensioni

Pubblicato il 30 Marzo 2019 | da Valerio Caprara

2

Dumbo

Dumbo Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario: In un circo malmesso e in disarmo la nascita di un elefantino afflitto da orecchie smisurate ma in grado di volare, provoca prima una serie di tragicomiche peripezie e poi una serie di riscatti individuali e collettivi.

3.5


Ok, la multinazionale Disney l’ha assoggettato. Aiuto, il suo spirito dark s’è raggrinzito. Peccato, TB balbetta cinema da troppo tempo. Erano ben altro “Edward mani di forbice”, “Mars Attacks!” e “La sposa cadavere”. Il piagnisteo sul “Tim Burton non è più lo stesso”, ancorché giustificato, dà però sui nervi non fosse altro perché come il regista sessantenne oggi non sono più gli stessi i vecchi spettatori dei suoi film e neppure chi l’ha glorificato nel passato. I segnali negativi aleggianti sull’uscita di “Dumbo” erano, per la verità, suggeriti anche dalla scelta di proseguire sulla strada del remake in live action (cioè con gli attori che recitano in film per metà di azione dal vero e per metà d’animazione) dei classici della Casa madre che ha prodotto il pessimo esito di “Alice in Wonderland” e dalla fragile, preziosa unicità del prototipo (1941), capolavoro di appena 64 minuti realizzato in economia da uno zio Walt in ansia per la chiusura dei mercati europei a causa della guerra mondiale. Sta di fatto che nell’alternarsi di debolezze e sicurezze, ripiegamenti e impennate, buchi di sceneggiatura e rammendi visionari, “Dumbo” si erge in ogni caso di una spanna sulla produzione corrente non solo hollywoodiana sia perché ha tutto per potere incantare i bambini, sia perché riesce a riservare in filigrana ai disillusi e ai nostalgici una gamma di riferimenti, allusioni e sorprese degni di una classe intramontabile.

Per noi il cuore del film, in effetti, non è incarnato dall’elefantino volante mini-freak e dalla sua lacrimevole odissea di orfano coatto, bensì dal manipolo di maxi-freak a cui toccano le parti di artisti di strada sorpassati, spossessati, emarginati, infermi o handicappati e tuttavia così folli da dichiarare guerra ai professionisti dell’intrattenimento industrializzato. L’ex dinamitardo sarà pure sedato dai maxi budget, ma non ci sembra un dato trascurabile l’improntitudine con cui, dopo un prologo alquanto dilungato e di routine, sferra l’attacco ai propri mecenati con una vera e propria parodia militarizzata del modello Disneyland: immunizzato com’è dal moralismo spicciolo degli ultimi arrivati, si limita a mettere in scena la forse inevitabile morte dell’artigianato circense insieme all’ingenua creatività dei precursori della magia cinematografica. Lavorando sottotraccia allo spettacolo enfatico, Burton evoca le carovane in fuga dei western crepuscolari, i controluce dell’espressionismo tedesco, i panorami urbani alla Edward Hopper, accosta i trucchi di Méliès a quelli del photoshop, ricorre al digitale per omaggiare l’analogico, sembra soggiacere alle musiche tonitruanti e alquanto grossolane del fido Elfman per poi fare balenare impalpabili flash della pionieristica serie delle “Silly Symphonies” o della vena surrealista del “Dumbo” vintage. Per non parlare di quando cita se stesso in simbiosi con Frank Capra, come nell’incursione finale nel macabro parco a tema non ai danni (attenzione) del capitalista illuminato, bensì a quelli dell’imprenditore deviato.

DUMBO

FANTASY, USA 2019

Regia di Tim Burton. Con: Colin Farrell, Danny DeVito, Michael Keaton, Eva Green

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