Recensioni

Pubblicato il 5 Novembre 2019 | da Valerio Caprara

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Downton Abbey

Downton Abbey Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario:

2.5


“O si ama o si ama. Se non lo ami dispiace per la tua salute perché questo brand è un balsamo, in grado di guarire (quasi) tutti i mali dello spirito”. Non c’è esagerazione, peraltro, nel post di un amico dedicato a “Downton Abbey”, la serie tv inglese di culto: a parte la sfilza di premi di categoria incamerati nel corso di sei stagioni e 52 episodi, è notorio come la saga dei conti di Grantham e della loro servitù ambientata nella meravigliosa magione edoardiana dello Yorkshire sia riuscita a diventare uno di quegli universi di fiction i cui personaggi, i cui avvenimenti e le cui dinamiche storiche, psicologiche e di classe restano saldamente ancorate nell’immaginario collettivo dando per di più adito a un’infinità di citazioni, parodie (Simpson in testa) e crossover. Quattro anni dopo la fine della messa in onda esce adesso una versione per il cinema basata sulla sceneggiatura dello stesso creatore della serie Julian Fellowes e garantita dal cast composto da gran parte degli attori originali e un gruppetto di prestigiose new entry: niente, in effetti, cambia sul piano della raffinata descrizione delle atmosfere obsolete e sovraccariche o su quello del flusso di dialoghi improntati al più puro humour britannico, mentre il nuovo spunto narrativo inizia con il brivido delle contrastanti emozioni che nell’anno 1927 scuotono l’intera popolazione del castello. I Crawley hanno appena ricevuto, infatti, la notizia di un’imprevista visita delle loro Maestà Giorgio V e Maria e gli obblighi dell’etichetta –le cui procedure, tra l’altro, prevedono che il personale reale assuma il controllo del cerimoniale- trasformeranno Downton in un campo di battaglia fitto di mosse e contromosse sottotraccia.

Se da un lato, però, i fan riavranno tutto quello che rimpiangono –dalle scenografie impeccabili ai costumi sofisticati, dalla pertinenza meticolosa delle suppellettili, i gioielli, i trucchi e i tagli di capelli d’epoca all’eco nostalgica di un’Inghilterra modello Jane Austen-, dall’altro i neofiti potrebbero essere sconcertati da un balletto tanto elegante e caustico quanto, a stringere, sprovvisto di autentico mordente. Non sembrano particolarmente riusciti, infatti, gli episodi collaterali –per esempio i contrattempi sentimentali dall’aiuto cuoca, il tentativo d’attentato al re o l’arresto nel bar gay clandestino di un domestico- che finiscono con l’esaurirsi in un album di situazioni ammiccanti e battute piccanti. Succede, a dirla tutta, che il film appaia una sorta di maxi episodio di 122 minuti in cui rischia di non emergere abbastanza il geniale tocco di Fellowes, sempre in grado nella serie di attivare tra le schermaglie di bonaria indulgenza nei confronti della monarchia inglese un’indagine disincantata sulle relazioni umane e il rapporto dell’individuo con il diverso. Per fortuna le sensazioni deludenti evaporano ogni volta che sullo schermo brilla l’inossidabile classe dell’ottantaquattrenne Contessa madre Maggie Smith.

 

DOWNTON ABBEY

COMMEDIA DRAMMATICA, GRAN BRETAGNA 2019

Regia di Michael Engler. Con: Hugh Bonneville, Jim Carter, Maggie Smith, Michelle Dockery, Elizabeth McGovern, Joanne Froggatt

 

 

 

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