Recensioni

Pubblicato il 25 Ottobre 2020 | da Valerio Caprara

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Cosa sarà

Cosa sarà Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario: Cineasta in crisi esistenziale e professionale scopre di essere affetto da una grave malattia. Dopo avere iniziato l'affligente itinerario delle cure, è costretto a chiedere aiuto anche ai familiari con cui aveva perso confidenza e contatti.

2.8


Pioggia e paura sul week-end degli italiani e la Festa del cinema di Roma aveva rischiato parecchio scegliendo per la proiezione di chiusura “Cosa sarà”, imperniato principalmente sulla lotta del protagonista contro una grave malattia che lo ha colpito a tradimento e per di più veristicamente rielaborato a partire dalla brutta esperienza vissuta proprio dallo sceneggiatore e regista Francesco Bruni, oggi fortunatamente fuoriuscito dal suo incubo. Alla fine, però, il direttore Monda e i selezionatori se la sono cavata perché, sia pure non risparmiando una serie di dettagli e situazioni tormentosi, il film non cede ai sovratoni melodrammatici, procede su toni rapsodici ma non funerei e ha quindi, deo gratias, regalato qualche incentivo di coraggio e di speranza ai convenuti della soirée e si spera ai futuri spettatori lockdown permettendo. Inoltre il calibro tutto sommato leggero dell’intera operazione risulta puntellato dalle prestazioni degli attori, alcune buone, altre ottime (Fotinì Peluso, Barbara Ronchi) e una decisamente fuori scala: Kim Rossi Stuart, in effetti, antidivo dalla personalità fiera, schiva e complessa, conferma una volta di più di non avere limiti di fascino, tecnica e cuore e di meritarsi sul serio gli aggettivi -formidabile, eccezionale- spesi da noi tutti cinefili con eccessiva condiscendenza per valutazioni di routine.

Attraverso l’incrociarsi di un po’ troppi flashback, “Cosa sarà” ricostruisce, dunque, lo shock dello scoprirsi fragili e indifesi e la necessità d’affrontare viacrucis fisiche, assegnando al frastornato Bruno Salvati (facile metafora di “Bruni salvato”) una serie di micro-accadimenti -dall’approccio col tronfio papà al ritorno nella natia Livorno, dal senso di minaccioso potere di controllo comunicato al paziente dalle macchine sanitarie al rapporto talvolta salvifico istituito da quest’ultimo con i medici e i paramedici, dalla riapertura del dialogo coi figli alle consuete stilettate contro i cinematografari grossolani- che potrebbero fare breccia nella sua condizione di uomo già in bilico, ma adesso consapevole di dovere vivere sul bordo di un precipizio. In fondo, ripassando nella memoria l’andatura sommessa e qua e là appena shakerata del film, sembra quasi che s’intraveda in filigrana la figura più bella del film insieme a quella di Rossi Stuart e cioè quella del regista stesso, tanto sapido e pungente quando scriveva i film di Virzì quanto sobrio, intenso ma mai patetico o invadente nell’usare in questo caso le armi professionali di cui è provvisto come un esorcismo a 35mm contro gli agguati del destino.  

 

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