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Pubblicato il 7 Settembre 2018 | da Valerio Caprara

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“Capri Revolution” a Venezia

L’epigrafe tratta da Fabrizia Ramondino impressa sulla prima inquadratura di “Capri-Revolution” di Mario Martone è uno di quei limpidi paratesti letterari che legano ogni artista a un altro e ogni sua opera ad altre simili perse da qualche parte nel tempo e nello spazio.Denso d’accuratezza estetica (costumi e acconciature in primis), ambientato nel 1914 ma con esplicite indicazioni di continuità storica, messo in scena sugli sfondidi una Capri arcaica ma nel contempo crocevia di pellegrinaggi anticonformisti e utopie destabilizzanti, il film chiude la trilogia preceduta da “Noi credevamo” e “Il giovane favoloso” rinsaldando la comunione con l’afflato etico-simbolicodella musa scrittrice e trasfigurando le accese dialettiche sull’idea di progresso che dall’inizio del Novecento ai tempi nostri non hanno mai smesso di svilupparsi, contrapporsi e ibridarsi persino sotto le macerie e i lutti delle guerre e i totalitarismi.

Basandosi sulla sceneggiatura cofirmata con Ippolita Di Majo che modella la trasformazione fisica e culturale di una pastorella indigena (Marianna Fontana, ex “Indivisibili”, attrice nata ela migliore del cast) venuta a contatto con una giovane comunità nordeuropea poligamica, nudista, omeopatica e vegetariana insediatasi tra le ancora selvagge lande capresi, Martone ricompone i frammenti dei cortocircuiti visionari delle esperienze vissute in prima persona accanto al gallerista Lucio Amelio e al pittore e scultore Joseph Beuys e dei riferimenti alquanto centrati all’opera di K. W. Diefenbach, naturista, pittore e teosofo le cui opere sono esposte nel museo della Certosa di San Giacomo e studiate da illustri specialisti come, tra gli altri, Antonella Basilico Pisaturo e Giancarlo Alisio. Fino alla stupenda sequenza della levitazione di Lucia plagiata o plasmata dal paganocarisma del leader proto-hippySeybu, il filmprocede con accattivante fluidità, soprattutto grazie alle armoniose coreografie di Raffaella Giordano e le, pour cause, energetiche musiche di Apparat. In equilibrio, come di consueto tra l’erudito e il nazional-popolare, Martone gioca poi di sponda con l’interazione di personaggi collaterali come il giovane medico Carlo (Antonio Folletto), emblematico rappresentante di altri e noti esuli capresi – tramandati dalla celebre foto di Bogdanov, Lenin e Gorkij impegnati in una partita a scacchi – più inclini all’antagonismo anticapitalista, interventista nell’immediato (sta per scoppiare la Prima guerra mondiale) e di lì a qualche anno bolscevico/comunista.

In questi risvolti affiora un po’ d’evitabile schematismo per cui alcune recitazioni e soprattutto certi dialoghi –che sembrano scimmiottare gli indimenticati ma dimenticabili “scazzi” tra sinistra tradizionale, veementi sessantottini e dionisiaci figli dei fiori- rischiano di fare calare la suggestione narrativa. Nel complesso “Capri-Revolution” è un film d’indubbi valore e spessore chepuò dire la sua nella corsa al Leone e fare a meno dei distinguo critici, ma che rispetto alla statura dell’autore e alla sua sensibilità creatrice perde per strada qualcosa quando alle vibrazioni audiovisive, felicemente intonate alle teorie dell’”atto psichico” di Diefenbach, s’alternano specie in vista del finale allusioni, paralleli e confronti che suonano un po’ ruvidi e frettolosi.

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