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Pubblicato il 17 Febbraio 2016 | da Valerio Caprara

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Addio ad Andrzej Zulawski

Una scultorea ragazza di banlieue, Valérie Kaprisky, nuda sul manifesto cult di “La femme publique”: il geniale e spesso incompreso Andrzej Zulawski, morto ieri a Varsavia all’età di 75 anni, potrebbe passare alla storia del cinema come il regista del melò erotico più ossessivo degli anni Ottanta. In realtà quella provocatoria rielaborazione del classico transfert del film-nel-film rappresenta una sola delle svarianti identità di una personalità autenticamente “maledetta”, nutrita, esaltata e infine distrutta da un’indimenticabile, fiammeggiante stagione del cinema francese. Nato a Lwow, l’odierna Leopoli in Ucraina, Zulawski studia cinema in Francia, lavora come assistente del feticcio Wajda ed esordisce dietro la macchina da presa nel ’71 con “La terza parte della notte” esasperatamente in linea con la tradizione romantica e barocca della prestigiosa scuola polacca.

Emigrato definitivamente a Parigi a causa delle angherie censorie subite dall’opera seconda “Il diavolo”, s’esprime ad alto e ovviamente controverso livello prima con “L’importante è amare” (’75) con Romy Schneider, truce parabola esistenziale di un’attrice fallita ispirata al “Riccardo III” scespiriano e poi con “Possession” (’81), parossistico grand guignol demoniaco che, in barba alle riprovazioni della critica benpensante, fa vincere alla disinibita protagonista Isabelle Adjani la Palma d’oro di migliore attrice a Cannes. Detestato dai conformisti e idolatrato dalla cinefilia colta e snob, l’autore post-sessantottino più fascinoso e tenebroso dirige nel biennio ’84-‘85 i suoi capolavori “La femme publique” e “Amour braque – Amore balordo”, ottenendo dalle attrici –appunto la Kaprisky e poi Sophie Marceau- che furono nel contempo le sue giovanissime compagne, orgasmiche incarnazioni visionarie a metà strada tra il nichilismo dostoevskiano e il sulfureo magistero dell’affine Polanski. In seguito il suo carisma si affievolisce rapidamente, non ritrovando che a sprazzi la violenza perturbatrice nel funereo “Le mie notti sono più belle dei vostri giorni”, nel contestatissimo adattamento dell’opera lirica di Musorgskij “Boris Godunov” (’89) o nello stanco “La fidélité (2000) e spendendosi soprattutto nella scrittura di numerosi romanzi tra i quali spiccano quelli della “Trilogia della follia” e i due che sviscerano la fine del rapporto con l’ultima musa Marceau, madre dell’unico figlio Vincent.

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