Recensioni

Pubblicato il 26 Febbraio 2017 | da Valerio Caprara

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JACKIE

JACKIE Valerio Caprara
soggetto e sceneggiatura
regia
interpretazioni
emozioni

Sommario: Tre drammatici giorni della vita di Jacqueline Bouvier Kennedy. L'assassinio del marito Presidente, il dolore, la solitudine e i suoi fermi propositi da portare a tutti i costi a termine.

2.5


Non è un film straordinario, ma straordinaria è la prova della Portman non a caso favorita nella corsa all’Oscar di miglior attrice. Jackie del cileno Pablo Larraìn, trasferitosi a Hollywood sull’abbrivio dei suoi titoli torvi e insinuanti, non assomiglia alle solite biografie di servizio bensì esplora le cangianti sfumature della subitanea e forzata mutazione di Jacqueline Bouvier Kennedy (1929-1994) in un’icona di stile ed eleganza e una protagonista stabile dell’immaginario collettivo. Non era facile mettere da parte -senza ovviamente ignorarla- l’immensa messe d’inchieste, disamine storiche e pettegolezzi mondani che grava sulla memoria della ex first lady, ma il regista è riuscito a tenere strettamente uniti gli elementi cronistici e realistici della messinscena con i dettagli sfuggenti, imprevedibili, atmosferici che alla fine diventano persino più interessanti delle drammatiche ancorché stranote situazioni in cui si svolgono. Un risultato, dunque, dovuto all’ottanta per cento alla performance della piccola grande attrice, anch’essa abilmente in equilibrio tra lo sforzo del mimetismo fisiognomico e biografico –al cinema spesso banalizzante e fuorviante- e la strenua ricostruzione psicologica che procede per conto suo e punta ad effetti più consistenti.

Lo schema narrativo è estremamente lineare proprio a questo scopo: appena una settimana dopo l’assassinio di John Kennedy il 22 novembre 1963, uno smaliziato reporter di “Life” viene ricevuto dall’allora trentaquattrenne Jackie e cerca di sviscerare quanto del suo ineccepibile comportamento sia stato strategico o spontaneo restando, peraltro, oscuro e impenetrabile agli occhi del mondo. Perfettamente truccata, vestita e pettinata, la vedova gli oppone una compostezza nient’affatto cinica che le serve, al contrario, per isolare dalle fitte lancinanti del dolore i ricordi salienti di una breve stagione felice da tramandare senza distorsioni estranee o strumentali ai posteri. Nemmeno tre anni alla Casa Bianca dai quali a Larraìn, finora considerato antiamericano per principio, non importa nulla estrarre un articolato giudizio politico (nessuna affinità, dunque, con “JFK” di Stone): il nucleo drammaturgico della sceneggiatura di Noah Oppenheim che lo stimola e lo guida sta esattamente in quei tre giorni che trascorrono dal colpo di fucile alla Dealey Plaza di Dallas alle maestose esequie al cimitero militare di Arlington. In questo senso gli spezzoni di repertorio vengono subissati da quelli recitati, tenendo abbastanza alta la tensione –come nella convulsa sequenza della nomina di Johnson sull’Air Force One accanto alla bara o in quella del vagabondare della protagonista nelle stanze dove ha vissuto quasi una favola mentre echeggiano le note di “Camelot”, il musical preferito dalla famiglia- ma non smettendo mai di rifinire, ritagliare, rimodellare le inquadrature sulla donna di potere trovatasi di colpo sola e accerchiata eppure decisa costi quel che costi a edificare un’inscalfibile mitografia kennedyana.

JACKIE

Regia: Pablo Larrain

Con: Natalie Portman, Robert Kennedy, Greta Gerwig, Billy Crudup.

Drammatico/Biografico, Usa 2017

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