Recensioni no image

Pubblicato il 6 Gennaio 2011 | da Valerio Caprara

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 Hereafter

Un argomento tabù e una riflessione dolorosa concentrati in un film solido, sincero e niente affatto lugubre o pietistico. E’ il merito innegabile di “Hereafter” di Clint Eastwood, classe 1930, senza dubbio la personalità più incisiva del cinema americano d’oggi. Però si deve altrettanto serenamente aggiungere che non si tratta di un altro di quei capolavori ai quali l’ex divo del western italiano ci ha da tempo abituati: forse a causa di una sceneggiatura disarmonica nell’intreccio tra il romanzesco puro e il riferimento ad alcune epocali e famigerate catastrofi, ritmo, tono, tensione ed emozione latitano a più riprese e, difetto ancora più grave, tra i vari personaggi non ne emerge neppure uno a cui affezionarsi o in cui identificarsi. Strano perché lo scrittore Peter Morgan, col quale il grande Clint ha trovato immediata sintonia, è stato meritatamente candidato all’Oscar per “The Queen” e “Frost/Nixon”; in questo caso, invece, i tre protagonisti, costretti a confrontarsi con la morte e indotti a interrogarsi su ciò che “avviene” dopo di essa, patiscono oltre misura la sovrabbondanza dei dialoghi e la forzatura di molte situazioni e qualche importante codicillo narrativo (vedi il presunto boicottaggio che si attuerebbe nel mondo contro esperienze e visioni provenienti dall’aldilà).

L’inizio è la parte più convincente e addirittura impressionante dell’intero percorso: lo tsunami che affoga per qualche secondo la brillante giornalista parigina Marie è ricostruito con un verismo che non ha nulla da invidiare ai kolossal d’avventura ultimo grido. Il prologo innesta la prima delle tre parabole (quasi) laiche: sopravvissuta per miracolo, la donna perde progressivamente interesse per l’orizzonte giornalistico e si vota all’esplorazione della misteriosa zona che separerebbe la morte dalla vita e della possibilità che le persone possano riuscire in qualche modo ad abitarla o attraversarla. L’episodio londinese, alquanto piatto nonostante la materia tragica, insegue le peregrinazioni del ragazzino Marcus dato in affido a causa della tossicodipendenza della mamma e dell’atroce scomparsa del gemello: incurante delle attenzioni della nuova famiglia, cerca ostinatamente di entrare in contatto con l’altra metà di sé senza la quale niente ha più senso. Infine c’è George (Matt Damon) nato e vissuto a San Francisco al quale è stata data in dote la facoltà –o piuttosto la condanna- di poter vedere nitidamente nell’aldilà e sentire le parole dei morti: perseguitato dalla propria fama e desideroso di riacquistare la normalità, il tormentato sensitivo fugge a Londra inseguendo la sua passione per Charles Dickens, non a caso maestro del romanzo sociale ad alto tasso di pathos. Lo scenario ideale per permettere al film di trovare la chiusura del cerchio, con le tre figure che incarnano l’eterno dubbio su ciò che ci aspetta pronte a operare un mutuo scambio di catartica salvezza. Il grande vecchio dietro la macchina da presa non accetta di trafficare sulle soglie del dogma o nei vortici del paranormale e con tipico pragmatismo yankee finisce col suggerire agli spettatori che non esiste una verità assoluta, ma che comunque non bisogna mai diffidare delle proprie e più segrete percezioni.

I momenti alti sopravvivono alla fumosità speculativa sulle soglie del new age e le recitazioni sono di qualità, ma specialmente lungo tutta la parte centrale anche gli adepti eastwoodiani come noi devono accusare il colpo di una lentezza e una farraginosità che sconfinano nel superfluo e nel pretestuoso.

HEREAFTER

REGIA: CLINT EASTWOOD

CON: MATT DAMON, CECILE DE FRANCE, BRYCE DALLAS HOWARD, JAY MOHR, MARTHE KELLER

DRAMMATICO – USA 2010

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