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Pubblicato il 18 Novembre 2010 | da Valerio Caprara

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Harry Potter e i doni della morte

Fa uno strano effetto mettersi a disquisire su uno dei blockbuster più vincenti della storia del cinema moderno. Al cospetto dell’irresistibile crescendo della saga che in nove anni ha incrementato il già straripante successo dei libri di J. K. Rowling (quattrocento milioni di copie vendute nel mondo), infatti, potremmo limitarci a prendere atto del fenomeno e a fornire le istruzioni per l’uso e l’elenco dei personaggi; eppure con l’uscita di “Harry Potter e i doni della morte – Parte 1”, l’ultimo dei sette romanzi diviso per il cinema in due episodi, ci piace constatare come sia stato portato a buon fine il progetto di fare crescere i tre protagonisti contestualmente all’evoluzione della trama. Proprio questa scansione “a puntate” rappresenta, secondo noi, l’esperimento più interessante, quello più congeniale all’eterna sfida tra spazio e tempo sullo schermo: non a caso i momenti clou dell’ultimo film riguardano l’irruzione dei sentimenti adulti nel mondo di Harry, Ron ed Ermione, una serie di strappi più destabilizzanti delle mirabolanti avventure alle quali i nostri eroi sono destinati sin dall’inizio. Al contrario di quanto accade a Peter Pan, qui i tre vogliono e devono crescere e alla fine si capisce, per esempio, come l’incipiente disfida ormonale faccia più paura delle fauci spalancate di un abnorme serpente.

Fuoriusciti dalla scuola di magia di Hogwards e proiettati nel mondo di tutti i giorni, dove peraltro i Mangiamorte e i Ghermidori impazzano, i neoadolescenti sono funestati da un’incredibile serie di peripezie, dovute principalmente al fatto che devono impegnarsi in una strenua caccia ai sette “horcrux” in cui Voldemort ha infuso particelle del proprio spirito maledetto. Quest’ultimo, nel frattempo, fallito il tentativo di far fuori l’occhialuto e molesto maghetto, decide di dedicarsi alla ricerca della bacchetta magica di sambuco che potrebbe renderlo invincibile nell’inevitabile scontro finale (prego attendere il prossimo luglio). La caratteristica de “I doni della morte” sta tutta nell’accentuazione delle atmosfere cupe, minacciose, gotiche sconfinanti nell’horror, che finiscono così col prevalere, a danno degli spettatori più piccini, sul pur cospicuo tourbillon di trucchi in digitale, colpi di scena, inseguimenti, metamorfosi multiple, orecchi tagliati e braccia quasi staccate dal corpo. Sia pure migliore dei due capitoli precedenti, il film del modesto David Yates non aggiunge nulla di nuovo alla consistenza fiabesca e linguistica dell’intera operazione, un pot-pourri di citazioni furbastre di Shakespeare, Dickens, Tolkien, l’Ende di “La storia infinita” e chi più ne ha più ne metta.

HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE

REGIA: DAVID YATES

CON: DANIEL RADCLIFFE, EMMA WATSON, RUPERT GRINT, RALPH FIENNES

FANTASTICO – USA/GRAN BRETAGNA 2010

 

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