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Pubblicato il 8 Marzo 2010 | da Valerio Caprara

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 OSCAR 2010

Predestinati all’ovvietà dei pronostici, gli Oscar 2010 si sono dati una mossa. E che mossa: “The Hurt Locker”, il bellissimo war-movie della bellissima Kathryn Bigelow, batte sei a tre lo strafavorito “Avatar” assegnando, tra l’altro, per la prima volta nella storia la statuetta per la miglior regia a una donna. Dispiace un po’ per “Bastardi senza gloria”, l’altro capodopera in gara, che vede riconosciuta solo la performance stellare dell’austriaco Christoph Waltz (il colonnello nazista cacciatore di ebrei, al quale peraltro va stretta la qualifica di miglior attore non protagonista); mentre è motivo d’orgoglio il fatto che i lettori del “Mattino” abbiano usufruito di una delle rarissime recensioni entusiaste in occasione del passaggio del film in concorso alla Mostra di Venezia 2008. Sospettato di ambiguità, perché disinteressato ai pistolotti pacifisti da supermarket, “The Hurt Locker” surclassa le regole del romanzesco a effetto e si mantiene così aderente alle azioni e reazioni dei personaggi (soldati Usa di prima linea nell’inferno di Baghdad), da distillare il senso allucinogeno, adrenalinico, viscerale dell’impatto con il nemico spesso invisibile della guerriglia urbana. Ispirato ai reportage del giornalista Mark Boal, il film riproduce con assoluto rigore stilistico il lavoro ad altissimo rischio delle pattuglie adibite all’individuazione e al disinnesco delle bombe, inserendo nella tragica cornice corale il dramma di uno spericolato sergente individualista. Una sorta di processo sadomasochistico che riesce a esplicitare quanto l’abitudine a giocarsi continuamente la pelle –magari alle prese col viluppo di fili e detonatori che fuoriescono come orrendi bubboni dal bagagliaio di un’auto, un sacchetto della spazzatura o il corpo di un kamikaze- faccia sì che i combattenti si trasformino in drogati del rischio, in ossessi della violenza.

Alla favola rutilante di James Cameron, moderatamente supportata dal doping del 3D, vanno com’è giusto tre premi di confezione adeguati per accompagnare la marcia trionfale di un kolossal che si spegne nel momento stesso in cui si riaccendono le luci in sala. Quanto agli attori, le corporazioni di Hollywood si sono finalmente passate una mano sulla coscienza: per la gioia dei cinéfili Jeff Bridges, 60 anni e 5 nomination, erede di una dinastia d’attori e vera e propria icona del nuovo cinema americano a cavallo degli anni Settanta, sale finalmente sul podio. Ci sarebbe anche il film che ha consentito il risarcimento, ma “Crazy Heart” è talmente vecchiotto e stereotipato da lasciare all’indimenticabile antieroe di “Il grande Lebowski” tutte le luci della ribalta. La spilungona Sandra Bullock raggiunge un record ben più curioso: migliore attrice grazie “The Blind Site” e peggiore attrice secondo i razzies, i premi informali che precedono gli Oscar per decretare i flop dell’anno a furor di popolo. Soddisfazione unanime per “Up”, il lungometraggio d’animazione che riporta i prodigi tecnologici in una dimensione umanistica e avventurosa; mentre l’argentino ancora inedito in Italia “El secreto de sus ojos” scavalca sul filo di lana “Il nastro bianco” e “Il profeta”: sarà pure un film importante, ma è certo che, con buona pace di Tornatore e “Baarìa”, i criteri del miglior film straniero restano se non ridicoli, indecifrabili. I patrioti a comando esultano per il fotografo Mauro Fiore e il musicista Michael Giacchino: considerati i legami pressoché inesistenti che i due intrattengono con il nostro paese e la nostra industria, è proprio il caso di dire che gode chi si accontenta.

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